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I racconti di paure sono il necessario e forse più accattivante completamento di una raccolta di favole. Anche se l’umanità finirà un giorno a vagare tra le galassie, si racconteranno sempre alcune di queste storie dalle radici millenarie, patrimonio di tutti i popoli.
Dopo il successo dei due volumi di Fiabe toscane di maghi, fate, animali, diavoli e giganti, Carlo Lapucci attinge ora al repertorio che in Toscana costituiva la veglia dei grandi. Le fiabe vere e proprie erano infatti riservate alla prima parte, cui assistevano anche i bambini; finito il vino dolce e le castagne i ragazzi andavano a letto e allora si cominciava la veglia delle paure, storie nate per mettere addosso i brividi, come oggi abbiamo i gialli o i film dell’orrore. Le situazioni, le figure erano diverse, ma se qualcuno ha l’abilità di grattare un po’ la vernice, sotto molte storie nuove ritroverà gli schemi e la materia di quelle vecchie. La tematica vera è sempre l’ignoto, ciò che del mondo e della vita sfugge, ciò che l’intelligenza allibita tenta d’acchiappare in una corsa senza fine, ricercando un tesoro incantato, le tracce d’un rito misterioso, l’apparizione d’un spettro, le imprese del Lupo Mannaro o dei Tempestari, le visite delle Anime del Purgatorio, le malie delle Streghe, le case e i balli delle Fate e tutti i fenomeni inspiegabili.
Come sotto il nostro Diavolo c’è il mostro Tuchulcha degli Etruschi, nel film 2001 Odissea nello spazio l’immenso computer Hal che governa l’astronave, lascia come ultimo ricordo l’ancestrale filastrocca: “Giro, giro tondo…”
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