I prigionieri di guerra italiani in URSS
Dalla lettura di una tabella intitolata I prigionieri italiani nella seconda guerra mondiale,ripresa dalla Relazione del Delegato italiano presso la Commissione dell’ONU per i prigionieridi guerra, è scaturito lo spunto primario di questo lavoro. In essa si riportava che
su circa 70.000 soldati italiani catturati dall’Esercito Rosso dopo la disfatta dell’ARMIR,10.087 furono rimpatriati, ossia solamente il 14%. Tale percentuale risulta spaventosamentebassa soprattutto se confrontata con le percentuali di prigionieri di guerra italiani rimpatriati dalle altre potenze belligeranti: il 99% dagli Stati Uniti e dalla Francia ed il 98% dalla Germania e dall’Inghilterra . In particolare, il fatto che dai lager nazisti fosse
stata rimpatriata la quasi totalità degli internati, ha indotto ad analizzare più approfonditamente
le cause che portarono alla morte un così elevato numero di soldati nei campi di prigionia sovietici.In seguito, fin dalle prime letture di alcuni testi su tale argomento, si è potuto constatare che oltre alle tragiche condizioni di vita degli internati, la prigionia in Unione Sovietica fu
caratterizzata da un altro fattore fondamentale che la contraddistinse da quella delle altre
nazioni in guerra: l’opera di propaganda e rieducazione politica svolta sui prigionieri di guerra caduti nelle loro mani. Si trattò dell’unico caso di una sistematica rieducazione politica praticata dai vincitori sui vinti durante la seconda guerra mondiale. Quest’ultimo aspetto
costituirà l’argomento centrale di questo libro.