A cura di Marco Marchi
Redigendo “Gli egoisti” Tozzi scrive un ulteriore capitolo del suo ideale, unico, grande romanzo a sfondo autobiografico: la propria «vita scritta». L’elemento desunto dall’esistenza, letterariamente dislocato e rivissuto, investe in primo luogo, come di consueto, un inetto in balia delle sue velleitarie e insoddisfatte attitudini artistico-creative e dei suoi ambigui sentimenti. In un’ambientazione delle vicende non più senese ma romana, anche l’intero cast delle presenze convocate dalla trama rimanda puntualmente alla vita dello scrittore: da Albertina Marelli al Carraresi, dal Papi al Giachi. L’accertabile derivazione autobiografica non impedisce tuttavia a Tozzi di trascenderla e sublimarla in arte, facendo del racconto di una contrastata storia d’amore – una storia d’amore inaspettatamente a lieto fine e proiettata sugli espressionistici scenari di una Roma di primo Novecento – una rigorosa indagine delle profondità della psiche.