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La testimonianza appassionata di una grande esperienza umana e politica
Il paese, il mio paese! Mi fermo sul ponte e guardo l’acqua che passa: quella goccia, sì, quella! Sarà l’ultima di quelle passate o la prima di quelle in arrivo?
Silvano Stagi è stato sindaco di Rufina, lambita e talvolta minacciata dalla Sieve, per quasi tre lustri, fra gli anni Cinquanta e Sessanta, in tempi di confronto politico duro ma leale. La sua narrazione non è una cronistoria delle vicende del paese e neanche un’autobiografia: piuttosto, un affresco dipinto coi colori della complicità e della nostalgia che gravita intorno alla strada dove Stagi è nato e vissuto, ufficialmente via Cesare Battisti, detta comunemente via della Nave oppure, per farla breve, il Corso o “dietrosieve”. L’affresco di una comunità dove bastava girare l’angolo per andare nella via principale di Rufina e ti pareva di essere in un altro mondo. Gente laboriosa, semplice, divisa talvolta da piccoli litigi ma profondamente unita, che ha attraversato il fascismo e la guerra, la ricostruzione e i tempi difficili delle conquiste politiche e sociali delle classi subalterne, fino a oggi. Una casa comune dove tutti si chiamavano col soprannome: Milano e la Boria, Fecce, Pille, il Ficio e poi Tredicino, Veccia, Bistino, Dreolino, Certino, le vittime designate degli scherzi, Schicchero e il Corazziere, i renaioli Ghindo e Bùghere. La banda, la Pippolese, la festa dell’uva col Nannoni che faceva Bacco, le serenate e qualche incontro ravvicinato col babbo della bella. Cortei politici e processioni religiose col tamburino Lilli che scandiva il passo a ritmo sincopato. Notti passate a “far tardi”, scherzi tremendi, ma senza ferocia, tipi inimitabili e la “Ribollita” dove si ballava… tingendosi di rosso.
Talvolta, specie nelle vicende del sindaco col preposto, pare di leggere le imprese di Peppone e don Camillo, come quando Stagi narra di aver nominato una suora, lui comunista, preside delle scuole medie per aggirare ottusi divieti, perseguendo la solidarietà e il bene comune, senza fanatismo ideologico. Ma qui c’è molto di più di un teatrino di macchiette paesane: tra i tanti episodi esilaranti e qualche lacrima, emerge la testimonianza appassionata di una grande esperienza umana oltre che politica.
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