"Perché Firenze? Si fa presto a dir “Firenze”: lo dicono tutti, lo dicono sempre, specie i non-fiorentini. Firenze è un segno, un “logo”, una “griffe”; Firenze affascina, Firenze fa sognare, Firenze vende. Di tutto: dalla moda alle etichette di vino pregiato, dall’argenteria al cuoio lavorato, dalle immagini cinematografiche tipo “Camera con vista” fino alla letteratura. Farne la storia, poi, è disperante e semplicissimo al tempo stesso. Ci sono biblioteche intere sui fati splendidi o terribili, sui monumenti, sulle opere d’arte, sui protagonisti di questi duemila anni vissuti fra l’Arno e le colline. Firenze, “città d’ingegni arditi”, come cantava il nostro più noto chansonnier degli Anni Ruggenti; ma ancor oltre un secolo prima il grande Ugo Foscolo l’aveva detta “beata”, e non tanto – o non solo – per i bei colli e le fresche acque quanto piuttosto per le “itale glorie” custodite in Santa Croce, simbolo e pegno della nuova patria italiana allora nascente e che, per cinque anni, l’avrebbe avuta capitale. Eppure, non son tutte rose. L’Arno è sempre meno d’argento, se mai lo è stato, e dai balconi pende sovente altro che i glicini in fiore. La città ha vissuto le sue notti cupe, come quella del ’25 raccontata da Vasco Pratolini in Cronache di poveri amanti. Guelfi e ghibellini, e poi magnati e popolani, e quindi la rabbia cieca dei ciompi e quella ancora più cieca di chi ne represse il moto, e poi ancora palleschi contro arrabbiati e contro piagnoni, e cupi linciaggi per le strade, e roghi delle “vanità” e dei frati che li avevano accesi, e la peste e la fame, e la sordida miseria di rioni disperati sui quali poi si son fatti castelli letterari e luoghi comuni all’insegna del “colore locale”, e guerre civili, e bombardamenti, e la paura, e la furia delle acque avvelenate e impazzite in quella notte del novembre 1966. E, ancora, i periodi di depressione, e i decolli stentati di nuove attività, e la crescita disordinata delle periferie, e la perdita di molti settori nei quali, come si ama dire, “eravamo leaders”, e l’incertezza, la difficoltà nell’intraprendere cammini nuovi, nel capire che tutto è cambiato e che talvolta bisogna ricominciare da capo. Ma le crisi sono a loro volta un po’ come le patinate bellezze da cartolina illustrata: rischiano di diventare ordinaria amministrazione e luogo comune esse stesse. A Firenze si viene per il suo grande passato: è quel passato che ci sostiene, che ci fornisce materia di vanto, che costituisce la nostra vera grande ricchezza; ma che al tempo stesso ci grava addosso, ci obbliga a essere in ogni istante degni di esso e ad ammettere di continuo la nostra inadeguatezza a esser tali. “Non è più quella d’una volta…”, dicono crollando il capo i nostri vecchi, che magari sono oggi dei signori dal sorriso smagliante e dalla pelle solarizzata…".
Franco Cardini