Enrica Loggi trova la sua genesi in ambito ontologico, a partire dalla musicalità che caratterizza da sempre il poièin e da un felice metaforismo che sposta il discorso dal piano della rercherche letteraria a un naturale “trovare” le forma nel segno di una profonda “gestualità” dove parola e immagine si incontrano. La poetessa coglie così il movimento armonico del verso sul limite dell’ascolto: “e studierò quel limite che vuole / immergersi nei tuoi piccoli versi” con lievi mutamenti di senso “e canterò la luce del tuo dire / nel mio precipitevole disire”, cosicché alla fine, mentre una rima di vento fa germogliare la vita , il vento di una rima dà voce al “racconto” poetico. Traducendo, la Loggi è una poetessa raffinatissima, tanto che la sua “lettera scrive una montagna” , mentre custodisce “speranze ignote… / che un piccione aveva scritte sul collare.” “Figure” così , addirittura “iridescenti”, sono il frutto di una grazia segreta, coltivata nel silenzio, sono il frutto di letture fatte proprie fino ad una “diversa” elaborazione, .fino ad un personalissimo”sogno d’oro”, affidato a un foglio su cui “c’era scritta la tua voce” e a primavere che “hanno vissuto i fiori inconsapevoli”. Non si deve tuttavia pensare la Loggi come una poetessa neolirica, ma intesa a esprimere il massimo di verità col massimo di pudore, come accade quando chi scrive conosce alla perfezione la differenza che esiste fra comunicazione e espressione. (Franco Manescalchi)