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Jack Boynton Priestley non è un autore banale. Nei suoi testi l'analisi della società della prima metà del '900 è sempre costellata di “british humour” - va da sé, essendo nato a Bradford - e di secche coltellate al finto perbenismo della medio-alta borghesia inglese. Si potrebbe affermare che ad ispirare Priestley sia anche un'ideale socialista che diventa più forte nelle opere teatrali. "Un ispettore in casa Birling" (titolo originale: An Inspector Calls), di scena al Teatro Dante di Campi Bisenzio, è per molti versi la pièce che più evidenzia questa influenza. E forse non è un caso che la prima rappresentazione in assoluto sia avvenuta a Mosca, nell'estate del 1945.
Siamo di fronte, peraltro, a un caso in cui la traduzione del titolo in italiano non cambia il senso dell'originale ma anzi lo arricchisce di una nuova sfumatura. Perché i Birling, appunto, sono una rispettabile famiglia dell’alta borghesia industriale inglese che, una sera, è intenta a festeggiare nel suo giardino - menzione particolare per la scenografia, di grande impatto visivo - il fidanzamento della giovane Sheila con Gerald, rampollo di un'altra famiglia di ricchi industriali. Tutto fila apparentemente liscio fino a quando non irrompe sulla scena un ispettore di polizia, che indaga sul suicidio di una giovane ragazza. È chiaro sin dalle prime battute che si tratta di un ispettore molto sui generis e soprattutto che tutti i personaggi sono coinvolti. Come fare allora a mantenere alta la tensione emotiva che un noir psicologico come questo richiede?
Molto passa dalla reazione corporea degli attori alle accuse dell'ispettore. E qui il lavoro della compagnia è accurato ed efficace, corroborato dalla colonna sonora che incide come in un film: in questo senso la ricerca del regista Giancarlo Sepe ha prodotto buoni frutti. Quello che non convince, in alcuni passaggi, è l'affiatamento tra gli attori che, seppur di rado, non si muovono all'unisono. Ma, chiariamolo subito, questo non è un fattore che incide sulla perfomance globale, che regala tensione ed emozione rimanendo sempre fedele al testo.
Un testo non semplice da affrontare per i risvolti sociali di cui sopra ma anche per quelli psicologici: è una famiglia che scopre di essere dentro il mondo e non fuori, coinvolta a dispetto della propria volontà nel destino di chi ha una visione e una prospettiva della vita diametralmente opposte. E anche quando si scopre vulnerabile non rinuncia a rivoltare il guanto per proprio tornaconto: troppo importante per Arthur Birling - interpretato da un Andrea Giordana bravissimo nel renderlo falsamente invulnerabile - mantenere la rispettabilità sociale.
Che non sembra però contare molto per i figli dei Birling: qui si può intravedere un conflitto generazionale in cui l'autore e di riflesso il regista prendono posizione per i giovani che mostrano di sentire il peso dei propri errori e delle proprie vanità. Partendo da qui, l'ispettore Goole è il “Grillo Parlante” di un'intera classe sociale: l'interpretazione che ne dà Paolo Ferrari è da grande scuola per l'uso calibrato della voce, con un tono imperioso che zittisce tutto e tutti quando ce n'è bisogno.
Dario Ronzulli
UN ISPETTORE IN CASA BIRLING
di John Boynton Priestley
traduzione Giovanni Lombardo Radice
con Paolo Ferrari e Andrea Giordana
e con Orsetta De Rossi, Cristina Spina, Vito di Bella, Mario Toccafondi e Loredana Gjeci
regia Giancarlo Sepe
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