Un “bosco alfabetico” in cui ci si può perdere, entrando e uscendo da qualsiasi pagina, senza l’obbligo di dover per forza andare a caccia di una storia. È “Se questo è un libro” (nonletture) di Elia Giovacchini, un volume per lettori audaci, che ha tutto il sapore dell’estate contenuta in un messaggio in bottiglia; un libro che entra in un territorio, quello del fantastico, dove tutto è possibile e incerto allo stesso tempo; e dove tutto ha la forza tremenda delle cose che, pur senza essere rivelate dalle azioni, sembrano lanciare dei segnali mostrando con maggior forza e chiarezza la realtà che ci circonda. Un libro incantatorio, pulsante, interrogativo, snello, frequentato di libertà e crolli, che si srotola attraverso quattordici personaggi in quattordici ambienti (non ci sono capitoli) nei quali il lettore inizia e riprende dal punto che sente più affine, rompendo di fatto ogni regola del conflitto in favore di un’esperienza del libro con “a capo chi legge”. Un’opera che cerca una nuova tecnologia di parole, anche al costo di sbagliare e rendersi ridicola, ma allo stesso tempo audace di entrare nel poco battuto spazio del ritmo senza che niente per forza debba accadere perché questo libro si svolge nelle regole del pensiero e del Bit, ovvero in quella quantità minima di informazione magica che una parola ha tra le altre, per provocare quello schiaffo di vita che dovrebbe fare del libro un’esperienza memorabile.
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