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C’erano una volta le scatole dei ricordi. Già cofanetti di biscotti e chicche, ex alcove a vini di pregio o più spartani cartoni da scarpe, così riconvertiti a custodie di memorie. In nessuna casa mancavano questi scrigni cui erano state consegnate sparse citazioni di vita: fotografie, lettere, la medaglia similoro conquistata alle mini-olimpiadi, immaginette di prime comunioni, biondi boccoli recisi. Il reliquario, salvo rare ostensioni per giubilei famigliari, stava riposto nel cantuccio di armadi o cassetti, laddove una bolla di naftalina e spigo garantiva la dovuta privacy. Conservare un siffatto archivio rientrava nella manutenzione ordinaria degli affetti. Magari poteva sorgere qualche dubbio di catalogazione in caso di traslochi (solitamente finiva nello scatolone delle ‘varie’). Mentre di maggiore impegno era decidere la destinazione dei reperti, quando il suo conservatore si fosse irrevocabilmente dimesso per raggiunti limiti d’età.
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