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Quando nel Chianti i giovani ebrei si preparavano per la Terra Promessa

19/02/2009

Poche settimane fa da queste colonne avevamo dato conto di un libro, “Ante Pavelic il duce croato”, che svelava la presenza a Siena nel periodo 1937-1940 di uno dei più sanguinari criminali della seconda guerra mondiale. In città Pavelic se ne restava tranquillo a scrivere libri e ricevere visite per pianificare la sua salita al potere, mentre il regime fascista lo finanziava. Poi, diventato dittatore, mandò a morte 750mila persone, soprattutto, serbi ma anche gitani ed ebrei. Adesso, grazie ad un’altra interessante pubblicazione, scopriamo che nello stesso periodo, a pochi chilometri, nel Chianti, il fascismo tollerava e permetteva che si realizzasse una delle prime esperienze di comunità sioniste. Giovani ebrei pionieri che  imparavano a coltivare la terra a fianco di mezzadri senesi, prima di “salire” in Palestina, la futura Israele. Insomma, a Siena, il fascismo tentava di crearsi contemporaneamente prospettive di influenza nei Balcani ma non disdegnava di strizzare l’occhio e dare ospitalità anche agli ebrei esuli dalla Germania e dai paesi dell’est Europa. Almeno fino al 1938 quando la promulgazione delle leggi razziali fece cambiare volto al regime e ogni ambiguità venne svelata.

Palestina in Toscana - È da poco uscito “Palestina in Toscana, pionieri ebrei nel senese 1934-1938” (per i tipi Aska, Firenze) a cura di Carla Forti e Vittorio Haiim Luzzatti, che recupera una pagina di storia che rischiava l’oblio e merita invece di essere conosciuta. Intanto, perché si capisce, come il regime fascista in quegli anni fosse ambiguo e non ancora completamente asservito all’alleato tedesco. Se, infatti, Hitler già dalla salita al potere aveva individuato negli ebrei i nemici principali da combattere, Mussolini fu molto più tollerante, ammettendo nelle sue fila anche ebrei che avevano costituito una corrente dichiaratamente filofascista. Anche perchè in Italia non attecchì mai e non fu mai popolare una “cultura antiebraica”, come ha anche sostenuto Hannah Arendt nel suo “La banalità del Male”. In questo contesto storico si deve leggere la vicenda degli ebrei che dal 1934 al 1938 a Castellina in Chianti diedero vita ad una “achsciarà”, un campo di addestramento per giovani sionisti in partenza per la Palestina (cioè per la Terra Santa). Il movimento sionista, infatti, teorizzava il ritorno alla terra e la costituzione di comunità che si dedicassero al lavoro dei campi. Per questo occorreva formare i giovani al duro lavoro rurale prima della partenza.

Sull’orlo dell’abisso - Sono anni ancora relativamente tranquilli quelli raccontati nel libro. In Germania le discriminazioni sono già iniziate, ma niente sembra far presagire il Male che esploderà di lì a poco. “Siamo sull’orlo dell’abisso - ha detto la curatrice del volume Carla Forti - e la grande Storia assedia quei giovani che sono ancora in parte ignari della imminente tragedia”. E così mentre Hitler fa di tutto per cacciarli dalla Germania, i fascisti ebrei italiani si danno da fare per ospitare e organizzare i giovani sionisti.
Questo volume, attraverso una straordinaria documentazione fatta di corrispondenze, pubblicazioni ma anche di interviste ai testimoni dell’epoca e rare fotografie, racconta la nascita in Italia, nella tenuta di Ricavo, della prima fattoria agricola sionista. Un’esperienza che in pochi anni ospiterà alcune centinaia di giovani.

I sionisti nella campagna senese - Interessanti gli spunti offerti dalla lettura. In primo luogo il rapporto di questi giovani, tutti borghesi e provenienti da ambienti cittadini e urbani, con il contesto della campagna senese; bella sì ma ancora arretrata e dura da vivere. La sveglia la mattina era molto presto, il lavoro molto duro; uno dei compiti era dissodare i campi per l’impianto di vigneti. Ancora oggi a Castellina vi è una collina chiamata “il poggio degli ebrei” proprio perché spianata da quei giovani.

Il Chianti come le campagne di Gerusalemme - “… alle cinque e mezzo siamo già nel campo e lavoriamo duro fino alle undici e mezzo, quando tutto si ferma e torniamo a casa, perché fuori fa troppo caldo… dopo pranzo ci riposiamo un paio d’ore e poi torniamo a lavorare nei campi per altre quattro ore. Il lavoro è faticoso, per me in particolare perché non ci sono abituato: le mie mani sono indurite e quando le vedrai, non le riconoscerai”, così il giovane Jacov Schoenbach alla fidanzata Cilla.
“Non c’era elettricità né acqua. La popolazione locale accettava queste condizioni e portava l’acqua da una sorgente nei paraggi. Presto capimmo che avremmo dovuto fare una strada per portare dalla sorgente un bidone d’acqua con un carro di buoi. Una volta tracciata la strada, ogni giorno uno di noi andava a prendere l’acqua. Questo prendeva ai ragazzi esperti tre ore circa, alle ragazze una giornata intera”, così ricorda a distanza di tanti anni Pinchas Miron.
“Mi dicono che oggi quella è una zona turistica ma la mia prima impressione fu quella di trovarmi di fronte ad un deserto: colline spoglie, un panorama simile a quello che si incontrava tanto tempo nell’avvicinarsi a Gerusalemme”, dice Hanna Rutmann.

I matrimoni in Comune – Poi, naturalmente, vi sono le vite di questi giovani, gli slanci di entusiasmo, gli svaghi innocenti, gli scherzi e la goliardia e, in certi limiti, la spensieratezza che può caratterizzare la vita di qualunque comunità composta da giovani donne e uomini. E persino l’amore. La  ricerca, infatti, è partita proprio dalla scoperta che in quegli anni nel Comune di Castellina si celebrarono ben 14 matrimoni tra ebrei. Un fatto singolare per il piccolo borgo chiantigiano.

“La storia della “achsciarà” di Ricavo a Castellina è un terribile esempio di misinterpretation del proprio tempo” ha scritto nella prefazione al volume Michele Luzzati. Una verità tanto vera quanto tragica. Infatti, gli stessi ebrei fascisti, che avevano voluto quella esperienza, non si resero conto di quello che stava accadendo intorno a loro. Mario Ottolenghi, tra i promotori, fu un sincero fascista e fino all’ultimo aveva confidato nelle autorità governative per creare un’esperienza simile per apprendisti pescatori a Livorno. Ma anche lui si sarebbe ricreduto e fuggito in Palestina.

Dopo il 1938 l’esperienza comunitaria venne definitivamente soppressa. Ci sarebbe stato spazio solo per la furia distruttrice: gli arresti, i rallestramenti, le deportazioni di massa, i treni piombati, i campi di concentramento. Il Male avrebbe sopraffatto ogni cosa.

Alcuni di quei giovani riuscirono a raggiungere la Palestina, altri scapparono per l’Europa alla ricerca di parenti e di una difficile salvezza. Molti di loro, come dice un testimone, “perirono non sappiamo dove né quando nella Shoà”.

Michele Taddei

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