Si era verso la metà dell’Ottocento e viene da immaginare che la scena avesse una concitata solennità. Dalle 11,30 alle 12,30 di ogni lunedì gli orologiai di Siena andavano a prendere l’ora esatta all’Accademia dei Fisiocritici. Nella grande aula, infatti, si trovava la meridiana a camera oscura. E sarebbe stato mezzogiorno preciso quando dal foro gnomonico posto sulla parete a sud il sole avesse raggiunto la retta tracciata sul pavimento, schiarito il marmo con su disegnati la linea del Tempo Medio a forma di otto, i mesi, i segni dello zodiaco. All’istante, con accigliata meticolosità, gli orologiai rimettevano le proprie lancette, mosse allora da meccaniche piuttosto approssimative. Ma non solo. Prima uno strillo, poi un rintocco sul tetto dell’Accademia, dava il segnale affinché le campane di torri e chiese avvisassero che era giunta l’ora mediana del giorno. Dunque, che orologi ed anime prendessero misura del tempo trascorso e di quanto loro ne restasse. Era così che quel raggio di sole appena insinuatosi in un pertugio di mondo dava a un’intera città la certezza d’essere dentro un tempo ‘vero’ e condiviso.
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