In un mondo tutto schiacciato sul presente (dove il passato è uno stipato retrobottega di robivecchi; il futuro un’ipotesi per la quale non vale la pena investire risorse nemmeno mentali) anche l’idea di “festa” (e di ciò che essa sottendeva) va ormai scomparendo. Così che la festa, persino da un punto di vista lessicale, è detta più sbrigativamente “vacanza”. Ed il rito collettivo di maggior impatto è la lunga processione di incarognite individualità che, a date fisse, si incolonnano lungo le autostrade. Ciò, del resto, risulta meglio funzionale alla produttività, al consumismo, alla “necessaria” fuga (non a caso occorre partire) dai problemi reali.
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