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Quando si recensisce uno spettacolo teatrale, uno degli elementi da tenere in considerazione è l'interpretazione degli attori e il confronto (attenzione, non il paragone) tra questa e il modo in cui in passato quei personaggi sono stati rappresentati sul palco. Miseria e nobiltà – di scena al Teatro della Pergola di Firenze fino al 18 novembre – rappresenta una particolarità perché, per questo testo di Eduardo Scarpetta, non si può prescindere dalla versione cinematografica del 1954 di Mario Mattioli con Totò nella parte del protagonista, Felice Sciosciammocca: una delle interpretazioni più “teatrali”, nel pieno senso del termine, del Principe.
Un precedente decisamente ingombrante che può essere affrontato bene solo con grande esperienza che non manca certamente a Geppy Gleijeses. La sua regia è un inchino continuo alla tradizione del teatro partenopeo e alla visione della vita di Scarpetta, nella quale la risata diventa l'unica possibilità per sopravvivere e guardare con il minimo sindacale di ottimismo al futuro: è amara come una medicina ma indispensabile perché senza ridere delle sventure e della fame si muore mentalmente prima che fisicamente. Ed è una lezione che, di questi tempi, torna drammaticamente d'attualità.
Il risultato di questa produzione è sorprendente per la facilità con cui si va incontro alle aspettative del pubblico senza tradire le esigenze sceniche e di ritmo. Chi assiste allo spettacolo quasi certamente sa la trama: un giovane marchese chiede a dei poveri squattrinati di impersonare i suoi parenti nobili per poter avere così il consenso del padre di Gemma, la sua amata. Conosce le battute celebri, i personaggi e anche il finale. Sa, insomma, cosa aspettarsi dal testo e tendenzialmente è molto esigente perché in mente ha la versione di cui sopra. E il grande merito della compagnia è quello di assecondare le aspettative degli spettatori senza però tradire lo spirito di questa commedia che racchiude al suo interno talmente tante sfaccettature da non poter avere una sola chiave di lettura. Lo spiega bene lo stesso Gleijeses nelle note di regia: “Di Miseria e Nobiltà si crede di sapere tutto, ma ci sono e si scoprono sempre nuove spigolature, angoli visivi insospettabili che fanno di un bel testo un classico eterno”.
Non si resta delusi anche perché l'attenzione ai dettagli è maniacale. Ad esempio quando i due compari, Felice e Pasquale, sono uno spalla comica dell'altro c'è la netta sensazione del primo piano cinematografico ma gli altri personaggi non spariscono del tutto dalla scena. E quando le scene comiche sono corali i tempi sono rispettati con cura.
Il distacco tra la Miseria e la Nobiltà è evidente e continuamente sottolineato. A rendere più evidente la dicotomia, o per certi versi la frattura, tra i pezzenti e i finti nobili concorrono poi vari elementi: la scenografia, tanto spoglia nel primo atto quanto sfarzosa ma volutamente con poco gusto nel secondo; il linguaggio, che inevitabilmente diventa comico quando gli straccioni devono impersonare marchesi e principi, come fossero attori di quart'ordine e non a caso sono vestiti con costumi esageratamente ridicoli; i movimenti sul palco, con il contatto fisico che avviene quando la presunta nobiltà svanisce per far nuovamente spazio alla disperazione.
Ed è proprio la disperazione il motore trainante della commedia, del testo così come dell'adattamento: una disperazione figlia della povertà per chi la vive quotidianamente oppure figlia della bramosia di non apparire quello che si è per avere un riconoscimento sociale oppure ancora discendente diretta del desiderio di qualcosa, o di qualcuno, che non si ha. Una disperazione che non va via con il calare del sipario a dispetto di un finale tutto sommato lieto, nel quale gli “attori” si tolgono la maschera da nobili e tornano poveracci con lo stomaco pieno e il cuore sempre appesantito.
Dario Ronzulli
Miseria e nobiltà di Eduardo Scarpetta
Adattamento e regia Geppy Gleijeses
Scene Francesca Garofalo
Costumi Adele Bargilli
Luci Luigi Ascione
Musiche Matteo D’Amico
Con Lello Arena, Geppy Gleijeses, Marianella Bargilli, Antonietta D’Angelo, Gina Perna, Antonio Ferrante, Gino De Luca, Francesco De Rosa, Jacopo Costantini, Gigi De Luca, Silvia Zora, Loredana Piedimonte, Vincenzo Leto
Produzione Teatro Stabile di Calabria – Teatro Quirino Vittorio Gassman
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