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“La musica va sentita, non solamente ascoltata”. Parla Matteo Becucci, docente di Music Tribe

21/01/2013

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Musica e canto come espressione della propria personalità per scardinare quello che più comunemente può essere definito come “status quo”. È forse questo il credo che ha arricchito e guidato la carriera di Matteo Becucci, vincitore della seconda edizione di X Factor (nel 2009) e cantante noto ai più per la sua carriera da solista e per i suoi tre album (“Liberi di mente”, “Cioccolato amaro e caffè” e l’omonimo “Matteo Becucci”), ma anche per le sue partecipazioni a Sanremo 2010 e al musical Jesus Christ Superstar, insieme ad artisti del calibro di Max Gazzè e Mario Venuti. Oggi Matteo Becucci entra a far parte del corpo docente di Music Tribe di Barberino Val d’Elsa - polo culturale nato per studiare musica, canto, tecno-audio e composizione per singoli o per gruppi – con il corso in Interpretazione e Repertorio. «Nel canto, l’interpretazione è la parte più psicologica applicata alla musica – spiega -, ma occorre fare molta attenzione alla tecnica. Credo infatti che il mio diploma in lingue abbia aiutato molto la mia carriera specie per quanto riguarda le canzoni inglesi. Ed oggi sono tante le persone che bussano alla mia porta per chiedermi consigli, specie per prepararsi ad un talent show».

Come arriva Matteo Becucci a Music Tribe e quale è stato il primo impatto con questa realtà?
«È una vera e propria “tribù della musica”. La struttura è fantastica con strumentazioni veramente all’avanguardia. C’è la possibilità di lavorare in un ambiente che ti mette nelle migliori condizioni, anche per parlare e confrontarsi. È folgorante vedere che una struttura simile si trovi lontano da una grande città ma è al contempo bellissimo stare a stretto contatto con un così grande numero di persone che hanno questa passione e questo profondo rispetto per la musica. All’interno si muovono, sia nel corpo docente che tra gli allievi, perone molto diverse tra loro ma che hanno un unico pensiero comune: la volontà di migliorarsi. E questa è già una vittoria. Affrontare in modo propositivo e critico il fare musica è qualcosa di fantastico, specie per i tempi che corrono oggi».
Quale è la situazione artistica e musicale nell’Italia di oggi?
«Credo che oggi la musica debba tornare ad essere sentita, non più semplicemente ascoltata. E credo che questo sia un altro aspetto molto presente a Music Tribe. Se il canto diventa solo rumore di sottofondo si rischia di disperdere l’infinita ricchezza, tra cantanti e varietà musicali, che abbiamo a disposizione. Al giorno d’oggi occorre ritornare e rivalutare la dimensione dell’ascolto perché è questa la chiave sia per migliorarsi che per arrivare ad essere apprezzati da parte del pubblico».
Per fare musica è quindi necessario essere anche dei buoni “ascoltatori”?
«L’ascolto è una componente fondamentale. E serve a ciascun artista per cercare visioni e chiavi di espressione diverse da quelle comuni. Differenti dal cosiddetto status quo. Faccio un esempio: se ognuno di noi si concentra non si ricorderà mai tutti i nomi dei cantanti che hanno reso gloriosi gli anni ’60-’70. Ci ricordiamo però di David Bowie che proprio in quell’epoca iniziò a sorprendere il pubblico con le sue tonalità e le sue interpretazioni, dando poi il là all’onda lunghissima di successi che ha avuto anche negli anni successivi. Anticipando sempre i tempi e connotando, con la sua espressività, diversi momenti storici. La musica si lega intrinsecamente all’epoca in cui esce una canzone. Faccio un altro esempio legato a Bowie: “Space Odyssey” uscì l’11 luglio 1969, nove giorni prima della passeggiata lunare di Neil Armstrong. E questi due eventi si legarono in maniera indissolubile scaturendo, di conseguenza, anche il successo mondiale della canzone. Che comunque anticipò il primo passo dell’uomo sulla luna. Se la dimensione uditiva cade in disinteresse, come spesso accade oggi, il rischio è quello dell’apatia creativa. La cosa più vera è che per ottenere quello che non hai mai ottenuto devi fare ciò che non hai mai fatto. È ovvio, quanto si inizia a cantare o a suonare lo si fa per emulazione. La vera risorsa però è l’interpretazione: un cantante è tanto più vero e credibile quanto nelle sue canzoni ci sono le sue storie, la sua personalità».

A. F.

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