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“La gioiosa macchina da guerra” di Occhetto, la damnatio memoriae dell’ultimo segretario Pci

12/02/2014

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Non ha voluto scrivere l’ennesima autobiografia del protagonista che rammenta con nostalgia le battaglie combattute. E ha optato per un titolo che suona ironica rivendicazione. Nel costruire il libro che ripercorre le scelte di una vita fino all’annuncio cruciale, alla Bolognina, del 12 novembre 1989 e oltre, Achille Occhetto (“La gioiosa macchina da guerra”, Editori Internazionali Riuniti) ha diviso il suo discorso in due parti: nella prima analizza le motivazioni che lo portarono ad accelerare un processo non sorto dal nulla. Quindi, nella seconda parte, si incammina a ritroso fino all’infanzia torinese e non per spiegare in termini personalistici le radici della clamorosa svolta, ma per inserire le vicende attraversate con entusiasmo o con sofferenza entro un quadro più generale. Lo spazio del comunismo italiano ebbe suoi caratteri: vi confluivano sensibilità e ispirazioni diverse ed era fatto di una geografia culturale non riducibile a univoco modello.

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