Sono solo, dietro c’è la strada tortuosa che si perde fra i campi e davanti il nulla, il vuoto assoluto di forme, la vastità che dà una sensazione incredibile di impotenza, di paura. È la prima volta che provo questa sensazione, è qualcosa di me che non conosco, che da una parte mi intimidisce, mi dà soggezione e dall’altra desta la mia curiosità. Il cammino di Santiago, si dice, va percorso da soli: è un viaggio interiore, un’esperienza che lascia il segno. Lo scorso anno Massimo Serafini, un ristoratore lucchese di cinquantadue anni, ha deciso di partire e ha affrontato il cammino per la prima volta. Come molti pellegrini ha tenuto un diario, dove il racconto di un viaggio unico attraverso la Spagna si unisce a impressioni e riflessioni sul mondo e sul senso della vita. Quel diario oggi è un libro: Io, sul cammino di Santiago di Compostela (Mauro Pagliai Editore).
La pubblicazione - Serafini è partito da solo, col desiderio di mettersi alla prova: ottocento chilometri da percorrere a piedi in un mese, da San Jean a Burgos. Mi è capitato di leggere il libro di un giovane tedesco che ha fatto il percorso. Mi sono incuriosito e ho cercato altre informazioni sui siti internet, ho letto varie testimonianze ed ho sentito anch’io un grande desiderio di poterlo realizzare. Mi attirava l’idea di una vacanza così lunga, lontano da casa e dai soliti problemi, in solitudine, a confrontarmi con i miei pensieri, a mettermi alla prova. E le prove sono numerose: lunghe marce sotto la pioggia, dolori, difficoltà con le lingue. Ma il viaggio solitario del pellegrino passa attraverso molti luoghi bellissimi, panorami carichi di magia, e mette di fronte a espressioni di una cultura diversa, a partire dalla natura, i campi coltivati, le viti e i peperoni, fino alle testimonianze artistiche, gli elementi religiosi, oppure la cucina con i suoi piatti tradizionali. E poi sul cammino di Santiago non si è veramente soli: sono molte le persone che si trovano strada facendo, e con cui si può condividere un’ora di marcia o una cena nell’ostello, e ogni conversazione è un’occasione di scambio culturale, ma soprattutto umano. Così, anche se si sceglie di andare avanti per conto proprio, si ha occasione, magari la sera al rifugio, di raccontare le proprie esperienze, scambiare pensieri e impressioni. Leggendo il libro di Serafini, sembra di essere accanto a lui mentre rivive quei giorni faticosi ma indimenticabili, e non si può fare a meno di condividere quel rinnovamento spirituale che è alla base dell’esperienza di ogni pellegrino.
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