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«Una decisione storica, che segna un’epoca. Quella della Chiesa di oggi e di domani». È questa la chiave di lettura del professor Giovanni Minnucci, ordinario di Storia del Diritto Canonico all’Università di Siena, sulla scelta di Papa Benedetto XVI di lasciare il pontificato.
A partire dal prossimo 28 febbraio sede vacante, dopo otto anni molto complicati. Quanto?
«È stato un pontificato difficile che Benedetto XVI ha affrontato con fermezza, mitezza, gentilezza ma anche con rigore. Il Papa ha dovuto affrontare, con determinazione, lo scandalo-pedofilia, la questione del relativismo etico con un Occidente che, passatemi il termine, ha un po’ perso la bussola sul fronte spirituale e non si riconosce più nella sua tradizione di valori millenaria. Vi sono, inoltre, conflitti religiosi in Africa e in Asia che stanno mietendo tante vittime tra i Cristiani, una multiculturalità dirompente in Europa, e infine quello che un tempo veniva chiamato Terzo Mondo e che oggi richiede a viva voce il legittimo riconoscimento di una propria identità. L’ultimo problema, in ordine di tempo, è stato il cosiddetto scandalo “Vatican-leaks”: Ratzinger si è sentito tradito da un membro della famiglia pontificia. Questa sua sofferta decisione, su ammissione dello stesso Benedetto XVI, è stata frutto di grandi riflessioni e meditazioni, innanzitutto davanti a Dio, da parte di un uomo che ritiene di non essere più in grado, in coscienza, di svolgere il suo ruolo di guida, sovrastato, forse, dalla complessità degli impegni difficilmente compatibili con un’età che inesorabilmente avanza. Non definirei però questa decisione come “rivoluzionaria”: essa, infatti, è prevista dal can. 332 § 2 del Codice di diritto canonico, ed è stata esplicitata in maniera chiara e netta: letteralmente, “libere et rite”. Porta con sé un grande messaggio di innovazione, questo sì, insieme a una grande componente di umiltà, fermezza e solidità. Ed anche in questo caso il comportamento di Ratzinger è stato impeccabile».
È una decisione che però mette la Chiesa di Roma di fronte a se stessa e ai suoi problemi…
«Il pontificato di Benedetto XVI è stato sempre segnato dalla ricerca sul fronte dell’identità cristiana trattando questo problema in relazione all’epoca e ai tempi in cui viviamo. Il suo successore dovrà inevitabilmente seguire questa linea. Joseph Ratzinger, attraverso le sue Encicliche, ha puntato i riflettori sul significato dell’essere cristiani oggi. Con l’ultimo suo gesto, dicendo un “no” nettissimo ad un’ottica improntata al personalismo e al fare carriera, Benedetto XVI ci dice che dobbiamo essere tutti testimoni del messaggio cristiano trasferendolo nella nostra quotidianità. In più ha posto l’accento, con una riflessione profondissima, su quello che è il “ruolo affidato” o, come avrebbe detto Caterina da Siena, “prestato” . Con un gesto di coraggio, Ratzinger ha indotto tutti a meditare su quello che oggi è il “compito”, il “ruolo” che non può non essere “di servizio”. Con questa sua “testimonianza” il “servo dei servi di Dio” ha ammesso di non sentirsi più in grado di svolgere il suo ruolo: il “munus petrinum”. Non a caso ha detto “lascio per il bene della Chiesa”».
Quanto, dal punto di vista storico, questa sede vacante sarà diversa dalle altre?
«Tutti i cambiamenti in Vaticano segnano un’epoca. E inducono la Chiesa a riflettere sulla sua situazione attuale che, specialmente oggi, è in un momento di grande difficoltà. Un ruolo importante sarà svolto dalla Congregazioni, nelle quali si riuniranno, “sede vacante”, tutti i cardinali, non solo quelli elettori che, ricordiamo, sono gli infraottantenni. Nelle Congregazioni – che si terranno prima del Conclave - si potrà discutere in maniera libera di quelli che sono i problemi della Chiesa, impostarli e tracciare una prospettiva futura. Certamente si tratta di questioni che non si possono risolvere in tempi brevi: la Chiesa oltre ad essere un’istituzione, è religione, fede e cultura. Quindi c’è necessariamente maggiore complessità, specialmente alla luce dei tempi in cui viviamo».
In tanti provano già a delineare il profilo del nuovo pontefice. Deve essere più riformista o più tradizionale?
«Queste sono definizioni e categorie politiche che poco si addicono ai nodi che si presenteranno davanti al nuovo Papa. Credo che durante questa sede vacante verranno esaminati prima i problemi, per poi passare ad individuare i profili dei possibili successori di Benedetto XVI, con un occhio all’eredità, di Giovanni Paolo II prima e di Ratzinger poi, di cui si dovrà fare carico il nuovo Papa. Ci sarà da affrontare un mondo che cambia ad un ritmo sempre maggiore e dove la dimensione della multiculturalità rischia di far disperdere tanti valori che hanno caratterizzato nel tempo la Chiesa. Occorrerà mantenere fermezza nella ricerca di un’identità Cristiana che, ritrovati i suoi valori, anche alla luce dei tempi, dovrà aprirsi sempre di più al confronto con le altre culture e religioni (e questa è la funzione del cosiddetto Cortile dei Gentili che proprio Benedetto XVI ha voluto). Per fare questo, però, la missione primaria dovrà essere quella di compattare, di unire (la sempre invocata “unità”) i cristiani del mondo. Un altro messaggio, non meno importante, che ci lascia Benedetto XVI con il suo pontificato, è che un Papa, da solo, non può adempiere alla sua missione al servizio della Chiesa. Senza il supporto concreto di tutta la Cristianità, per il Vescovo di Roma, il compito si fa assolutamente duro ed improbo».
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