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“Il principe” di Machiavelli compie 500 anni. Pandolfo Petrucci signore di Siena preso ad esempio

09/01/2013

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Non a tutti è dato il privilegio – quando sia tale – di veder trasformare il proprio nome in aggettivo o addirittura in un’idea. Tra chi potrebbe vantarlo c’è Niccolò Machiavelli, tipico esempio di uomo rinascimentale, personalità dal multingegno: storico, letterato, filosofo, politico. Soprattutto grande teorico della politica, e a questo proposito divenuto lui stesso un pensiero, un enunciato – machiavellico, appunto – per definire quanto voglia dirsi frutto di una intelligenza sottile e spregiudicata. Quest’anno sentiremo parlare molto del Machiavelli, poiché ricorrono i 500 anni (13 dicembre 1513) dalla scrittura de “Il principe”, un’opera che fondò la scienza politica moderna, rendendola finalmente ‘laica’, svincolata dall’ideologia religiosa. Ma, a detta di altri, ser Niccolò con il suo “Principe” fu anche il cattivo maestro che portò a dottrina la politica del cinismo, del consenso e del potere a tutti i costi, del “fine che giustifica i mezzi” (frase, in verità, da lui mai detta). Del resto Machiavelli sviluppò analisi e suggerì azioni concrete che avevano a che fare con la situazione politica di un periodo in cui era quanto mai necessario un principe energico e determinato che portasse alla liberazione dell’Italia, da troppo tempo schiava. Un personaggio, dunque, che fosse “leone” e “volpe”, autoritario ma non impopolare, perché è difficile stabilire “s’elli è meglio essere amato che temuto o e converso”. Il pragmatismo, il raziocinio algido di quelle pagine, hanno avuto, nell’arco di cinque secoli, due sostanziali interpretazioni. Quella di chi vi ha visto una sorta di manuale d’uso per governanti spregiudicati e ‘oltre’ la morale pur di garantire la stabilità di uno Stato. Oppure un trattato che, con lucida drammaticità, denuncia i soprusi del potere e, dunque, mette in guardia il popolo dai tiranni. Questa seconda esegesi trovò una sintesi poetica nei “Sepolcri” del Foscolo, laddove leggiamo: “Io quando il monumento / vidi ove posa il corpo di quel grande / che temprando lo scettro a’ regnatori / gli allor ne sfronda, ed alle genti svela / di che lagrime grondi e di che sangue…”.

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