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“Il primo Gulag”, l’inferno delle Solovki nelle pagine del nuovo libro di Francesco Bigazzi

Firenze

21/03/2017

Umiliate, offese, picchiate. Affamate e stremate dai lavori forzati. Alle donne internate nei Gulag non era riservata alcuna particolare indulgenza: nelle colonie di lavoro non c’era differenza di genere. Alcune di loro, rimaste incinte dopo gli stupri dei loro aguzzini, subivano un trattamento ancora peggiore. A indagare sulla condizione femminile nei campi di concentramento sovietici, un aspetto ancora poco conosciuto di una delle pagine più tragiche del Novecento, è Francesco Bigazzi nel suo nuovo saggio “Il primo gulag. Le isole Solovki” (Mauro Pagliai Editore).

Il volume - Giornalista e saggista, già direttore dell’Ansa e considerato uno dei massimi esperti italiani di storia e cultura russa, Bigazzi getta luce su quello che fu il primo campo di lavoro forzato dell’URSS: il monastero di Solovki, situato nell’omonimo arcipelago in mezzo al Mar Bianco, a 165 chilometri dal Circolo Polare Artico. Il complesso religioso, fondato dai monaci ortodossi nel XV secolo, fu requisito dallo Stato nel 1923 con un decreto firmato da Lenin, e dopo la fucilazione degli ultimi monaci fu trasformato in campo di concentramento. Attingendo a una ricca documentazione e a molte testimonianze inedite, Bigazzi ricostruisce un mondo fatto di sofferenza, odio, prevaricazione e banalizzazione della morte. Al gulag delle Solovki, trasformato in prigione nel 1929 e chiuso dieci anni dopo, le vittime furono oltre 150 mila: lì fu introdotto l’uso dei lavori forzati in massa e lì si svilupparono le tecniche di repressione a cui si farà ricorso in tutto il futuro “arcipelago Gulag”, il progetto di sterminio di tanti figli della grande Russia.
 

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