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C’è chi ricorderà un gioco, probabilmente fatto nella propria infanzia. Quello di guardare fisso cose, persone, situazioni quotidiane; e sorridere per come esse risultassero improvvisamente buffe, fuori posto, assurde. Fa tornare alla mente questo gioco, l’ultimo romanzo (L’incontro) di Michela Murgia, scrittrice di una prosa eccezionalmente sobria ed esatta, nonché bravissima a rappresentare certi micro-universi e quanto in essi vive, ora sopito ora destato da chissà quali eventi. Ad esempio nei piccoli paesi della sua Sardegna, dove, in ragione di un forte senso di appartenenza (che al contempo esclude e include), tutte le azioni, ancorché di singoli, sono coniugate al plurale noi. Dicevamo di tale capacità che la Murgia possiede nel saper cogliere (anche con ironia) e rivelare come nuove le piccole cose. E non a caso, ne L’incontro, affida questo esercizio a dei ragazzini, allo sguardo con cui loro vedono e interpretano la realtà, fino al gioco di bambini-non più bambini con cui si conclude il racconto.
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