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Il design nell’era della creatività artificiale. Intervista al docente ISIA Simone Aliprandi

Serena Bedini

Firenze

24/02/2025

Pubblicato un anno fa, il volume “Il design nell’era della creatività artificiale. Nuove sfide per la progettazione e la didattica” (Ledizioni), a cura di Simone Aliprandi, raccoglie i contributi di vari docenti ISIA Firenze e si focalizza su come nell’era dell’AI, il design assuma un ruolo fondamentale nel gestire le opportunità offerte da questa tecnologia, promuovendo approcci innovativi e sostenibili.

Da oggi scaricabile in Open Access su https://aliprandi.org/books/design-era-creativita-artificiale/ o sul sito di ISIA Firenze https://www.isiadesign.fi.it/2024/02/24/il-design-nell-era-della-creativita-artificiale/, il volume propone una riflessione fondamentale su quale sia la sfida della didattica del design con gli strumenti di intelligenza artificiale oggi sempre più a disposizione, ma si concentra anche sugli aspetti più controversi come il diritto d’autore, la parità di genere, il ruolo del prompt designer, ecc.

Abbiamo rivolto alcune domande al curatore del volume, l’avvocato e docente ISIA Firenze Simone Aliprandi, esperto di diritto d’autore e diritto delle tecnologie digitali, oltre che divulgatore molto attivo sul web e sui social media:

Simone, qual è la maggiore sfida che propone oggi l’intelligenza artificiale generativa agli utenti del Web in termini etici?

Coloro che creano contenuti come testi, immagini, video, sfruttando sistemi di AI generativa dovrebbero dichiararlo espressamente e chiaramente, ma molti sono restii a farlo perché da un lato c’è ancora molto pregiudizio su questo fenomeno dall’altro sarebbe un po’ come sminuire il valore del proprio lavoro.

Pensiamo a un giornalista che viene incaricato da una testata di realizzare un articolo e che sceglie di far scrivere il testo parzialmente a ChatGPT. Dovrebbe dichiararlo nel momento in cui invia il pezzo alla redazione; e quest’ultima dovrebbe a sua volta indicare sul giornale in calce all’articolo il disclaimer “articolo realizzato con l’ausilio di ChatGPT” (qualcosa di simile).

Tuttavia, così facendo, il giornalista farebbe intendere che per svolgere quell’incarico ha in realtà impiegato meno tempo e meno sforzo intellettuale, con il rischio che l’editore del giornale gli riconosca un compenso minore. Parallelamente c’è il rischio che i lettori del giornale perdano stima verso il giornale proprio a causa del pregiudizio secondo cui “a creare un articolo con ChatGPT sono bravi tutti; non serve essere giornalisti”.

Lo stesso discorso può valere per l’avvocato che realizza una bozza di contratto, per uno sviluppatore di siti web, per il designer che progetta lo stand per una fiera. Dichiarare al cliente che il lavoro è stato parzialmente o in buona parte fatto con sistemi di intelligenza artificiale può risultare molto controproducente per la propria immagine di professionista. Ne consegue che il giornalista, l’avvocato, lo sviluppatore, il designer si guardano bene dal dichiarare ai committenti e al pubblico l’effettivo utilizzo dell’intelligenza artificiale. E sul piano umano e reputazionale, è assolutamente comprensibile questa reticenza.

Non vi è un obbligo giuridico di fare una dichiarazione di questo tipo, ma appunto è una questione etica, di trasparenza e di correttezza nell’approccio. In mancanza di una dichiarazione da parte di questi utilizzatori dell’AI e in presenza di tecnologie sempre più performanti che si “mimetizzano” perfettamente con la creatività umana, sarà difficile riuscire a capire a posteriori quando e in quale proporzione le opere intellettuali saranno frutto dell’ingegno umano.

C’è il rischio di una perdita del know how umano di fronte a un utilizzo dell’intelligenza artificiale sempre più intenso e frequente?

È un dilemma che in molti si stanno ponendo. Se l’AI generativa riesce a creare cose poiché viene addestrata con materiale di matrice umana, non c’è il rischio di arrivare presto a un appiattimento delle idee e a una omologazione creativa? D’altronde i sistemi AI sono stati addestrati con tutto ciò che gli esseri umani hanno prodotto in millenni di attività creativa. Se a un certo punto, in un futuro nemmeno così lontano, gli uomini si troveranno a creare le nuove opere sempre utilizzando sistemi di AI generativa, potrebbe porsi il rischio di avvitarsi su se stessi e di rimettere in circolo sempre le stesse idee creative senza spunti innovati.

Non sono in grado di fare una previsione. Quello che sto vedendo è che per ora l’avvento di questi sistemi ha portato a sperimentare nuove forme di creatività e nuove forme d’arte (la cosiddetta “AI art”), arrivando a una sorta di nuova forma di creatività “ibrida”, in cui l’opera nasce inevitabilmente da un confronto uomo macchina. A mio avviso però, per arrivare a un punto di stallo o addirittura di involuzione ci vuole ancora del tempo; e non è detto che accada.

Da quale tipo di riflessioni nasce il volume “Il design nell’era della creatività artificiale. Nuove sfide per la progettazione e la didattica”?

Indubbiamente il libro è figlio di un interessantissimo evento organizzato dal Politecnico delle Arti e del Design di Firenze e da ISIA Firenze intitolato “Delle Arti e nuove intelligenze” che si è tenuto il 23 marzo 2023 al Teatro Niccolini. In quell’occasione abbiamo assistito a un confronto stimolante tra teorici e professionisti del mondo della creatività che condividevano con passione la loro esperienza con le nuove tecnologie basate sull’intelligenza artificiale generativa, raccontando come si stava profondamente modificando il loro ruolo di autori, di artisti, di docenti.

Nei mesi successivi all’evento, discutendo con la direzione di ISIA e con alcuni colleghi docenti, è emersa l’idea di mettere nero su bianco le riflessioni più interessanti all’interno di una pubblicazione; Pubblicazione che tra l’altro ha inaugurato una nuova collana di libri a marchio ISIA presso la casa editrice Ledizioni.

Secondo te l’utilizzo dell’AI quanto può impattare sull’insegnamento universitario e quanto può risultare innovativo nella didattica in ambito creativo?

L’impatto è notevole e lo si percepisce già ora, soprattutto in quei corsi di laurea in cui l’aspetto creativo è centrale, come appunto i corsi di design e di grafica multimediale. Considerata la velocità con cui evolvono queste tecnologie, non è ovviamente pensabile che gli studenti di questi corsi trascorrano tre, quattro, cinque anni senza seguire passo passo questa evoluzione. I docenti quindi sono chiamati a uno sforzo non indifferente di aggiornamento costante che permetta loro di offrire delle lezioni che siano sempre sul pezzo e mostrino tutte le sfaccettature di queste tecnologie, non solo illustrandone le funzionalità e modalità di utilizzo, ma anche stimolando riflessioni sul background teorico e sulle varie criticità e complessità.

Inoltre cambiano proprio le modalità con cui i docenti di questi corsi progettano le loro lezioni. Infatti, l’interazione e il dialogo con questi sistemi spesso permettono di ottenere spunti interessanti e di giungere a percorsi didattici che normalmente il docente non avrebbe considerato.

Il libro è sotto licenza Creative Commons: spieghiamo che cosa implica questa scelta a coloro che non conoscono il mondo delle licenze open.

Implica un’ampia facoltà di riutilizzo, di ridistribuzione e anche di rielaborazione dei suoi contenuti, dato che la licenza scelta è una Attribution – Share Alike (che poi è la stessa licenza applicata a Wikipedia). È una prassi in cui sono considerato un pioniere e che la casa editrice Ledizioni sperimenta da molti anni in varie collane e pubblicazioni, tra cui appunto anche la nuova collana ISIA Firenze. Trattandosi di un’opera con un forte intento divulgativo, ho caldeggiato questa soluzione ed essa è stata accolta positivamente sia dagli altri coautori sia della direzione ISIA.

Ora che anche la versione digitale è liberamente disponibile, confidiamo che l’opera esprima tutto il suo potenziale di riuso e che – come spero – si inneschino iniziative che portino alla diffusione che merita, soprattutto in ambito didattico e accademico.

Serena Bedini

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