Forse siamo pazzi da legare…il perché di uno speciale dedicato all’ex villaggio manicomiale di Siena

Sienalibri è nato come il portale della cultura senese e la cultura è fatta in primo luogo di conservazione e valorizzazione di un patrimonio storico, sociale o antropologico. Parte da questa convinzione la volontà di approfondire il passato e il futuro dell’ex villaggio manicomiale San Niccolò di Siena. Un approfondimento che non poteva che sposare a pieno la figura del folle nella letteratura, materia di cui ci occupiamo solitamente. Infine, per una certa dedizione verso quella pazzia intesa come miccia, fulcro vitale e motore dell’arte. Non possiamo poi non tenere conto di come la malattia mentale, o quella considerata tale, abbracci una serie di comportamenti ritenuti devianti sulla base della morale pubblica e su come questa si muova. Ma il confine tra pazzia e razionalità è un confine relativo ed anche questo è un tema caro a tanti scrittori e a noi che abbiamo la pretesa di occuparci, sempre con il giusto limite intellettuale, di letteratura e cultura.
E’ un’idea da “matti da legare”? Può darsi…ma questo ci inorgoglisce. Forse perché ci piace guardare in maniera critica proprio a quella morale pubblica spesso contrapposta alla follia. Forse semplicemente perché se per caso si entra oggi nelle stanze del San Niccolò non si rimane indenni a due cose. La prima è lo stato di conservazione di questo. L’altra è la sensazione di vedere ancora in quegli spazi la sofferenza di chi li ha vissuti veramente. Ed il fatto è che non bisogna neanche andare troppo indietro con gli anni per provare anche solo a immaginare cosa immaginavano i folli.
I matti poi. E se la loro fosse stata una semplice visione diversa del mondo o una percezione differenti dalla realtà? Allora viene da interrogarsi davvero su quell’ex ospedale psichiatrico e su chi l’ha abitato tutti i giorni. In tal caso partiamo da una considerazione, noi l’abbiamo fatto: se spesso le persone normali non sono quello che sembrano, i matti potrebbero non sembrare quello che sono.

Cristian Lamorte