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“La morte non è nel non poter comunicare ma nel non poter più essere compresi”. Lo affermò Pier Paolo Pasolini. Lui che incompreso risultò ai molti, frainteso da diversi, e, quando compreso, a maggior ragione ignorato. Poiché il suo pensiero rifiutava le semplificazioni, il suo modo di confrontarsi (e scontrarsi) era diretto, frontale. Fu troppo comunista per essere poeta e troppo poeta per essere comunista. Mistico blasfemo, asceta lussurioso, veggente snobbato. Un reazionario di sinistra (così lo definì Enzo Siciliano), angosciato dall’omologazione, dal “genocidio” culturale in atto nella società e perpetrato da un potere che andava espropriando i comportamenti e le esistenze di tutti.
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