Casa Editrice: La Bancarella Editrice
Anno: 2018
N. Pagine: 512
Dopo che Populonia dovette subire nel 809 d.C. una nuova e definitiva distruzione a causa degli Orobiti (o Mauri), corsari greci che, insieme ai Saraceni, devastarono le coste dell'Italia, iniziò la migrazione verso punti più sicuri della Val di Cornia e delle colline metallifere. «Già nel VI sec. i vescovi africani Regolo, Giusto e Clemente, scampati miracolosamente alle persecuzioni dei Vandali, sbarcati sulla nostra costa, furono costretti a ritirarsi sulle colline e a rifugiarsi nel fitto della boscaglia del Frassine, nel Gualdo del Re» in un luogo detto Cornino dove il vescovo Garipertus spostò la sede dell'allora diocesi di Populonia a causa delle frequenti incursioni. A riprova di ciò, già nel 861, si ha notizia che la sede della diocesi si trova «ad Castrum Corniae» dove era vescovo un tale Paolo3.
All'epoca dell'ultimo assalto gli abitanti erano circa 670 e non più di 40 riuscirono a fuggire. Anche il vicino monastero di San Quirico posto sulla collina a sud di Populonia venne distrutto. Nella stessa data gli Orobiti o Mauri, come ci dice l'abate di Monteverdi in una sua cronaca, attaccarono quel monastero ma furono sconfitti da soli 40 combattenti (aiutati da un angelo come dice la leggenda), ma, sicuramente, 480 di questi furono uccisi e i superstiti fuggirono sulle loro navi.
La vita nella città riprese solo con poche famiglie che vivevano di pesca e del traffico commerciale, dell'industria mineraria elbana, delle vicine miniere del Volterrano e del Massetano, ma molti migrarono nelle zone vicine.
Il monastero venne ricostruito con nuove fortificazioni e una torre che serviva da fortilizio contro le future incursioni. Nella zona del porto rimanevano solo le attrezzature indispensabili all'opera di carico e scarico dei minerali e le barche dei pescatori.
Il porto, oltreché per il trasbordo del minerale, ebbe la funzione di porto di scambio di merci per le città dell'interno e, proprio per questa nuova caratteristica, prese probabilmente il nome di porto Baratoli o porto Baratti6 (nome che è rimasto sino ad ora) ed era uno dei punti di riferimento dei mercanti dell'epoca e anche per il futuro Principato di Piombino.
Diversi profughi scelsero di andare in direzione nord-est, dove era l'antico Porto Traianus dei romani, poi divenuto Porto Faliegi, ampliato dai romani e usato già dagli etruschi, tramite canali interni, come rifugio nei giorni di libeccio.
In questo periodo di traversie e difficoltà il territorio subì l'influenza della Repubblica di Pisa che aveva conquistato numerosi territori lungo la costa toscana, fondato scali e aperto fondaci mercantili in tutto il Mediterraneo. La storia di Piombino diventa la storia di Pisa almeno fino all'inizio del Principato.
Anche i territori dei dintorni compresa l'Elba vivono la stessa storia e le stesse vicende, ecco perché ci soffermiamo brevemente sulla storia dell'Elba in quanto è strettamente legata a Piombino. Molte di tali notizie le rileviamo dal libro di Giuseppe Ninci, pubblicato agli inizi dell'Ottocento, ma considerato ancora un punto di riferimento per lo studio della storia dell'Elba.
In questo periodo dall' 806 all' 810, Carlo Magno, che era divenuto padrone del regno d'Italia, inviò alcune spedizioni per liberare la Toscana e la Corsica dalle continue scorrerie dei pirati barbareschi e pure Lodovico il Pio, figlio di Carlo Magno, continuò nell' 814 e nell' 835, affidando tale impresa a Bonifazio, nuovo duca di Lucca e Pisa. L'Elba, che in epoca etrusca e romana era sotto l'influenza di Populonia e Volterra, dal 755 era passata sotto la Chiesa.
L'Elba fu poi ceduta ai Pisani nel 1005 dalla stessa Chiesa, per ringraziamento alle battaglie svolte dalla Repubblica di Pisa contro i Saraceni. Pisa sconfisse i Saraceni e Greci in Calabria, poi all'Elba9.
Infatti, nel 1003 i Saraceni, comandati da Musetto, si diressero in gran forze verso la conquista della Sardegna e alla conquista dell'Elba. Ma quando furono all'Elba dovettero ritirarsi precipitosamente a causa «del coraggio e della bravura dei pisani».
Nel 1015, Musetto ripeté l'impresa e, radunate nuove forze e nutrito da un profondo odio verso i pisani, con una grande flotta assalì l'Elba, prese tutti alla sprovvista e a nulla valse il coraggio degli Elbani e dei Pisani. Conquistò l'Elba e si gettò a depredare le spiagge toscane arrivando fino a conquistare la famosa città etrusca di Luni con il suo grande porto commerciale. I Pisani reagirono mettendo in piedi una potente armata, resa ancor più forte dai soccorsi dei principi italiani e dal Pontefice Benedetto VIII. Attaccarono di sorpresa la città di Luni, con macchine da guerra che permisero di creare una breccia nelle mura, per mezzo della quale entrarono in città e la liberarono. Rincuorati da questa vittoria, i Pisani si diressero alla riconquista dell'Elba.
Gli Arabi, saputo della caduta di Luni, dove avevano la maggioranza della loro forze, si imbarcarono precipitosamente, non senza però mettere a ferro e fuoco l'isola d'Elba non senza averla devastata e saccheggiata, tanto che quando i pisani arrivano a riconquistare l'isola trovarono solo campagne e villaggi deserti, fortilizi rovinati e gli abitanti nascosti nelle grotte delle montagne e nel fitto dei boschi. Ci volle del bello e del buono per convincere gli isolani a tornare ai propri villaggi e alle proprie terre, tanto la paura era entrata in loro. Solo dopo varie promesse e l'inizio di lavori di fortificazione dell'isola, con forti e bastioni, accettarono di tornare. Furono rialzate le fortezze del Volterraio e di Lucèri, una nuova fortezza a Marciana Marina, mura per cingere Capoliveri e dei bastioni presso sant'Ilario e nella parrocchia di San Pietro a Campo. Inoltre, la Repubblica pensò di ristabilire le industrie e il commercio e la riapertura delle famose cave di granito che come dice il Targioni «Ne sono cave grandissime dalle quali se ne possano avere saldezze smisurate. Fin dal tempo de' Romani si cavava questa sorta di pietra dall'isola dell'Elba e del Giglio; e dall'Elba i Pisani fecero venire le colonne di granitella, che posero in opera nella fabbrica di S. Michele in Borgo» fondata nel 1018.
La pace riconquistata rese Pisa ancora più forte e nello stesso tempo più invidiata dalla vicina repubblica di Genova che la insidiava da tempo con varie concorrenze commerciali e qualche scaramuccia.