04/11/2009
Quando, il 17 agosto 1944, Winston Churchill arrivò a Siena, verso le 17,30, la città era stata già liberata da un mese e mezzo. Una folla delirante aveva accolto le truppe alleate che avevano fatto il loro ingresso da porta san Marco alle prime luci dell’alba del 3 luglio. Il generale De Monsabert, alla testa del terzo divisione di fanteria algerina, era stato applaudito come un trionfatore: soddisfatto in cuor suo che fosse stato rispettato l’ordine impartito di non tirare sulla città neppure un colpo contro le sue parti anteriori al diciottesimo secolo. Una guerra, con la sua scia di rancori e vendette, di mutilazioni e ferite, non finisce in un giorno. Il clima era tutt’altro che rasserenato. Oltretutto la situazione in Italia ristagnava. La Linea Gotica che si profilava a nord di Firenze sarebbe stata un ostacolo durissimo da superare. La visita del premier inglese non era un’incursione di cortesia. Convinto che le cose si capiscono meglio “quando si vedono e si toccano le questioni sul posto”, Churchill mise in calendario l’ispezione in Italia malgrado le cattive condizioni di salute e i molti rischi connessi. Ora Fabio Casini, in un libro di chiara leggibilità e spessa documentazione (“Churchill e la campagna d’Italia. Agosto 1944: passaggio in Toscana”, Nuova immagine, Siena 2009, pp. 212, € 11) ricostruisce movimenti, contatti, indicazioni, propositi di quella decina di giorni e arricchisce di inediti particolari la conoscenza che si aveva di una fase cruciale del conflitto. Churchill alloggiò a Villa Placidi, in quel di Vignano, requisita per la bisogna. La scelta apparve molto funzionale. A due passi, nel parco della Villa dei Gentili a Mociano, verso Taverne d’Arbia, il generale Alexander aveva stabilito il suo quartier generale. Da lì la residenza di Churchill si raggiungeva in un attimo: era davvero ad un tiro di schioppo, si scorgeva a occhio nudo. Non che l’illustre visitatore vi dovesse sostare a lungo e continuativamente, ma la vicinanza rendeva facili gli indispensabili contatti. E poi non disagevole era raggiungere l’aeroporto di Malignano, come era denominato lo scalo di Ampugnano nel Comune di Sovicille. Da lì Churchill decollerà per le fondamentali missioni compiute in quella breve sequenza temporale: già il 19 agosto alla volta di Marina di Cecina, dove incontrò il generale Clark e si rese conto di persona “di quanto fosse stata deleteria la decisione di sacrificare parecchie unità alleate per le operazioni di Francia”. La visione di Churchill tendeva piuttosto a privilegiare l’Italia perché si aprisse il più rapidamente possibile un varco in direzione dei Balcani e vi si arrivasse prima dell’Armata Rossa. La sua dominante preoccupazione era, infatti, l’avanzata del comunismo sovietico con le annessioni che avrebbe prodotto e l’irrimediabile frattura dell’Europa che avrebbe sancito. All’europeismo conservatore quanto tenace di marca britannica non si é sempre dato il rilievo dovuto. Queste stesse tematiche furono al centro del colloquio del 23 agosto con Pio XII. Nel promemoria che monsignor Tardini aveva preparato per l’incontro veniva messo in rilievo “come il comunismo rappresentasse una minaccia per l’umanità intera”. Ma non è questa la sede per ripercorrere la fitta agenda del “passaggio” in Toscana. Basterà aggiungere che da Siena Churchill, il 25 agosto, spedì a Roosevelt un telegramma per sollecitare l’invio di un messaggio a Stalin “affinché mostrasse un po’ più di interesse a ciò che stava succedendo a Varsavia”. Ma, come si sa, gli insorti – scesi nelle strade dal primo agosto – furono lasciati a se stessi e si preferì entrare nella capitale polacca quando era stata annientata. Sarebbe un errore di riduttiva lettura ritagliare dalle dense pagine di questa ricerca aneddoti o dettagli di sapore locale. Siena fu scelta perché si trovava allora in una posizione geopolitica ottimale e l’aeroporto di Malignano ebbe di sicuro un ruolo importante. Da Siena Churchill mosse per visitare il fronte a nord. Sostò a lungo ad osservare all’opera l’VIII Armata. “Gli spari – scrisse nelle memorie – erano sporadici e intermittenti, ma fu il momento in cui mi avvicinai di più al nemico e sentii più spari di tutta la seconda guerra mondiale”. Il vecchio leone di guerre ne aveva vissute tante e non resisteva alla curiosità di verificare sul posto l’andamento di scontri che obbligavano a moltiplicare gli sforzi. Era arrivato a Siena da Cassino. Probabilmente gli era venuto da riflettere sull’effetto nella popolazione di bombardamenti tanto indiscriminati. E prima di lasciare l’Italia – il 29 era di nuovo a Londra – vergò un appello agli italiani in sette domande retoriche. Quella conclusiva si rivolgeva agli operai e ai contadini chiedendo come avrebbero potuto tollerare la rinascita di un governo retto da una feroce Gestapo e con metodi totalitari. E così scrivendo non evocava soltanto le efferatezze del fascismo e i crimini del fascismo. Faceva intravedere le incognite del futuro.
Le ore di Villa Placidi furono, dunque, per l’ospite inglese assai movimentate. Ora che le possiamo per in intero rivivere e quasi immaginare nel loro inquieto sgranarsi, sarà inevitabile vedere quei luoghi con uno sguardo diverso.
Tratto da “Il Corriere di Siena” del 1 novembre 2009
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