20/08/2013
La casa di uno scrittore – modesta o ricca che possa essere stata – non è mai una semplice amalgama di calce e mattoni. Nelle sue stanze vuote, negli interstizi più reconditi, sotto la patina di polvere che il trascorrere del tempo vi ha depositato, nelle crepe che, come rughe, hanno segnato l’intonaco c’è, sempre viva, la presenza di chi vi ha abitato, i suoi pensieri, le sue idee, la vita dei personaggi plasmati dalla sua penna. La casa di uno scrittore è, dunque, patrimonio storico e culturale di una comunità. Ed è luogo dell’anima per i lettori. È un “genius loci” che l’umanità deve veder preservato come punto di riferimento delle proprie emozioni e come fonte di ispirazione per il futuro.
Undershaw - Ecco, dunque, che è difficile – anzi, inaccettabile – immaginare che il mondo debba rinunciare all’esistenza di Undershaw, la casa che Arthur Conan Doyle fece costruire ai margini del villaggio di Hindhead, nel Surrey, ad un’ora di treno di Londra, e nella quale visse dal 1897 al 1907. Perché questa casa – la casa di Doyle – rischia di essere abbattuta per far posto a un complesso di villette. Per salvarla e restituirla alla disponibilità del pubblico è in corso, ormai da anni, una battaglia legale promossa dalla Undershaw preservation trust che riunisce scrittori, registi, attori e lettori innamorati delle gesta di Sherlock Holmes e delle opere di Doyle. Ed ecco che, invece, è bellissimo pensare che acquistando un libro (Sherlock’s Home: La casa vuota – MX Publishing) si possa contribuire al tentativo di salvataggio. Sento già qualche mugugno e vedo già qualcuno storcere il naso. Come può, Undershaw, essere considerata la casa di Doyle se ci ha vissuto per una parte minima della sua vita? Eppure, è proprio così. Questa è la casa, e nessun’altra. Le ragioni sono tantissime, e tenterò di spiegare, così come avevo accennato in un post sul blog dove parlo di libri almeno le più importanti.
La casa di Doyle - Intanto, questa casa non esisteva prima che Doyle l’avesse concepita, così come fu realizzata, esattamente in quel luogo. Doyle acquistò quel terreno perché in una posizione geografica ottimale per garantire la salubrità dell’aria di cui aveva bisogno la prima moglie Louise, ammalata di tubercolosi. E la progettazione dell’architetto seguì scrupolosamente le indicazioni che Doyle dette per renderlo un luogo confortevole a un’ammalata: ampie vetrate per garantire l’ingresso della luce solare, scale a bassi gradini per ridurre al minimo gli sforzi della moglie, porte che si aprivano a spinta in ambedue i sensi. E qui Doyle fece istoriare le vetrate con i simboli di famiglia. In secondo luogo, fu ad Undershaw che Doyle scrisse alcuni dei suoi capolavori assoluti. Fu qui che ridette vita a Sherlock Holmes, dopo averlo ucciso nel precipizio delle cascate di Reichenbach, scrivendo Il mastino dei Baskerville e la raccolta di racconti Il ritorno di Sherlock Holmes. E fu sempre qui che scrisse il ciclo delle Avventure del capitano Gerard e di Sir Nigel e il famosissimo pamphlet La grande guerra boera che li valse la nomina a baronetto. In terza battuta, Undershaw fu meta di visitatori illustri. Passarono di qui gli scrittori Bram Stocker, E.W. Hornung, J.M. Barrie, Thomas Wemyss Reid, Gordon Guggisberg, Churton Collins, Virginia Woolf e Bertram Fletcher Robinson. E ospiti di Undershaw furono anche gli attori William Gillette (il primo a portare Sherlock Holmes in teatro) e l’illustratore delle storie del detective londinese Sidney Paget. La casa di Doyle, insomma, anche se vissuta per un solo decennio (fino a poco dopo la morte della moglie Louise), è senza dubbio la residenza per eccellenza dello scrittore scozzese. La sua demolizione rappresenterebbe un delitto. E noi – come certamente farebbe Sherlock Holmes se ancora fosse in attività – faremo tutto l’umanamente possibile per salvarla. Anzi, ognuno di noi può contribuire a questa causa, sostenendo le attività della Unbdershaw preservation trust. Per salvare un monumento, certo. Ma soprattutto per salvare un luogo pieno di emozioni, di fascino e di ispirazione. Per conservare ai posteri il luogo dove è nato uno dei miti letterari dell’umanità.
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Nato a Siena nel 1964, vive a Prato dall’età di quattro anni. Prima cronista sindacale e politico per diverse testate, poi direttore di un settimanale economico locale, oggi lavora in un ufficio stampa istituzionale. A trent’anni la riscoperta di Sherlock Holmes: la particolarità del personaggi, una concezione del mondo e della vita, l’epoca storica in cui si svolgono i fatti lo affascinano al punto che, quando incontra “Uno studio in Holmes”, l’associazione degli scherlockiani italiani, non può che lasciarsi coinvolgere. Sulla rivista dell’associazione, “The Strand Magazine”, di cui oggi è direttore responsabile, ha pubblicato quattro racconti. Il palio di Sherlock Holmes è il suo primo romanzo.
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