07/01/2015
“Vieni o Maggio t’ aspettan le genti, ti salutano i liberi cuori, dolce Pasqua dei lavoratori, vieni e splendi alla gloria del sol”. Me la cantava sempre, in sotto voce, il mio nonno materno quando tutto insonnolito mi affacciavo dalla porta di cucina, distrattamente guardavo al lato delle finestra che dominavano il mare, mentre mia nonna mi invitata a prendere il caffèlatte appena preparato e lui alzava il capo dal giornaletto anarchico che la domenica gli veniva recapitato dai “compagni”.
La domenica era festa, si cambiava di tutto punto in giacca, camicia bianca e fiocco nero e scendeva in piazza davanti al monumento di Pietro Gori e, come in un rituale, si ritrovava con tutti quelli come lui, piccoli artigiani: il falegname,i l calzolaio, lo stagnino, il fabbro, lo scalpellino etc. a “santificare” a modo loro la festività dopo una settimana di pieno lavoro, tutti accomunati da un’unica idea: uguaglianza e libertà.
Rosignano, paese originario dei miei nonni e dei miei genitori, lo è anche di questa figura emblematica dell’anarchismo di fine Ottocento. La mia testimonianza della figura di Pietro Gori è solo quella che ho ricevuto, appunto, dai miei familiari. Perché se il padre era originario dell’Isola dell’Elba, la madre era di Rosignano Marittimo. Alla sua morte avvenuta all’Elba nel 1911 la salma fu trasferita a Rosignano nella cappella di famiglia vicino alla mamma “luce stellare della sua vita”. Il mito ed il ricordo per l’esule, il cavaliere errante dell’anarchia era ben presente nelle figure sopra richiamate per avere dedicato la sua vita, la sua professionalità, per il bene degli altri, a difesa degli ultimi, a difesa degli oppressi.
Con “Vieni o maggio” inaugurò quella che in seguito sarà la Festa del 1° maggio. La mia testimonianza indiretta sulla figura aurea, mitica, romantica di Pietro Gori è relativa ai rapporti di carattere familiare tanto più che anche i miei nonni paterni si erano conosciuti e sposati in Casa Gori e la familiarità con la sorella Bice perdurò fino alla morte della stessa. Permane nel mio ricordo indelebile la figura di questa donna, la signora Bice, quando andavamo a trovarla con la nonna paterna e devo dirlo, con tutta sincerità, allora ero attratto dalla gentilezza di questa signora che ogni volta mi faceva tanti complimenti ed aveva sempre da regalarmi qualche cosa. Ma soprattutto ero attratto da un magnifico pappagallo dai colori sgargianti che ripeteva tutto quello che gli si diceva. Allora non ero certo interessato al pensiero di Pietro Gori. E tanto meno mi ero posto il perché della presenza di quel pappagallo. Ma iI principii della eguaglianza e della libertà predicati da quel mio nonno materno e dei suoi compagni, i loro discorsi, non mi lasciavano indifferente.
Per quanto in seguito non abbia approfondito, se non superficialmente, il pensiero di Pietro Gori a distanza di 150 anni dalla sua nascita è giusto ne venga ricordata la figura, il pensiero e la personalità, troppo spesso sottovalutata e relegata solo e soltanto tra i sovversivi (leggi). Oggi come ieri la filosofia, il “credo” nei quali si ritrovavano quel mio nonno ed i suoi compagni è sempre molto attuale.
Chi è stato Pietro Gori Nasce da famiglia toscana a Messina nel 1865 da Francesco Gori e Giulia Lusoni. Il padre, di origini elbane, fu soldato e mazziniano, iscritto segretamente alla Giovine Italia. Giulia benestante di Rosignano Marittimo, sua “luce stellare”. Studente di giurisprudenza nell’Ateneo pisano, Gori si laurea con una tesi sulla “Miseria e delitto”. A 17 anni, ancora studente, viene processato ed incarcerato per avere pubblicato un opuscolo clandestino “Pensieri ribelli”. Assolto in Assise entra nella frazione anarchica internazionale rappresentata da Carlo Cafiero, Andrea Costa e Michele Bakunin. Appena dopo la laurea in diritto del 1889 viene arrestato a Livorno e processato per “avere organizzato” le agitazioni e gli scioperi del 1890 per la libertà del lavoro e la giornata di otto ore lavorative: risale al maggio di quel periodo l’inno sull’aria del Nabucco di Giuseppe Verdi “Vieni o maggio, t’aspettan le genti”. In contatto con Enrico Malatesta e Saverio Merlino riafferma sempre più le proprie convinzioni libertarie a difesa soprattutto dei lavoratori. Per avere difeso Sante Caserio subisce una campagna denigratoria e di calunnia che, come dice lo stesso Gori “striscia spia e morde a tradimento”. Tutta una serie di pressioni ed angherie lo costringono a trovare rifugio in Svizzera, a Lugano. Ma anche da lì, su pressione dell’Italia, è costretto ad andarsene : è allora che scrive l’inno “Addio Lugano Bella”. Continua il suo il suo pellegrinare: Inghilterra, Stati Uniti, sud America, dove a Buenos Aires fonda la rivista “Criminologia Moderna”.Percorre tutto il nord ed il sud America sempre propagandando le sue idee. Conferenziere ed oratore brillante, uomo di grande cultura e sensibilità acquisisce popolarità quasi “mistica” soprattutto fra la gente, la sua gente, la povera gente dell’alta, bassa Maremma come un mito, un simbolo politico di rivalsa. Grazie all’amnistia del 1902 torna finalmente in Italia e si dedica alla professione di avvocato difendendo, fra l’altro, i redattori del giornale “La Pace”. Muore, assistito dalla sorella Bice, nel 1911 a Portoferraio a seguito di una virale forma di tubercolosi. Viene tumulato a Rosignano Marittimo, paese originario della adoratissima “luce stellare” mamma Giulia, dove, nella casa di via S. Martino, sempre assistito dalla sorella Bice, era stato fin dall’inizio punto di riferimento e d’incontro con i compagni anarchici del posto. Al cimitero di Rosignano Marittimo, davanti alla cappella della famiglia Gori dove è sepolto, una statua di marmo donato dai cavatori di Carrara lo raffiigura a mezzo busto. Qualcuno vi depone ancora una rosa oun garofano.
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