Viaggio in me stesso
07/05/2020
Quello che qui in esclusiva per Caffè Letterario 19 si presenta è un estratto de "Il suono della solitudine", edito da Ediciclo, che ringraziamo per averci concesso di pubblicarlo.
Questa volta sei al mare mentre sta per arrivare l’inverno e tu sai che scriverai questo libro e che lascerai la città che ha due soli punti di respiro: il mare e l’inverno. Per quanto tu ami l’infinito che guarda verso l’alto, la vertigine della parete, il rarefarsi dell’altitudine e l’imponenza delle vette, dentro di te sai che le risposte migliori arrivano dal mare. Perché è lì che il mondo finisce lambito dall’acqua, non esiste un finis terrae sulle cime, i monti sono già da soli confine. La vetta è isolata. L’ultima spiaggia è ancora un’occasione, quella finale, ma lo è. Ruggiscono l’onda e la valanga. Ma tu puoi sfidare a testa alta il borbottio del mare.
L’isola è un’enclave isolata, come una valle, non sono mondi poi così lontani i tuoi. La sabbia del mare, la rena dei fiumi, è un circolo d’acqua. Il cerchio stesso della vita. È fin troppo facile dire che vieni dall’acqua, da quel liquido amniotico nel quale si sogna di ritrovare la serenità bambina. Basta un esame di psicologia per dire queste cose. Rocce e scogliere sono parenti, ma il mare trasporta la lontananza, la saudade, il sentimento del tempo che scorre, la salsedine.
Se fai uno sforzo lo sai quello che vorresti dire: che sei profondamente legato alla natura, alla terra, all’acqua, a tutto quel mondo che in alto, in altissimo – o a livello della battigia – sa bisbigliare a un cuore solitario e silenzioso. Sa dire le parole giuste. Sei prigioniero di quei luoghi così profondi, potenti e semplici da lasciare a bocca aperta. Niente di simile c’è nella bellezza delle città, nella frenesia luminosa della modernità. Non c’è qualcosa di giusto o di sbagliato, anche tu, in fondo, ami la grandiosità di certe capitali. Ma sai che il tuo posto è lì, dove da solo puoi toglierti le scarpe e dire che siamo tutti figli del mondo, che siamo qui a percorrerlo ognuno per conto proprio, facendoci compagnia per brevi o lunghi tratti di strada.
Di fronte al mare che sembra non finire mai, nel rumore continuo della risacca, nell’attesa del tuo Godot personale, accarezzi la tua solitudine e con lei accarezzi la vita. Alzi gli occhi, li punti verso uno scoglio all’orizzonte. Poi torni sul tuo taccuino e disegni un veliero. Il comandante sei tu. Anche quando non sai dove andare.
Torna Indietro