Romanzo storico, saggio romanzato, racconto storico? Quale definizione potremmo assegnare al testo di Fernanda Alfieri “Veronica e il diavolo” (Einaudi)? Scritto con la meticolosità di una storica abituata a frequentare gli archivi, ma anche con una lingua immaginifica che sa spaziare, soprattutto nella descrizione degli ambienti, l’autrice ha creato un genere particolare. E qui si passa dalla rappresentazione della Roma papalina ottocentesca, a Madrid, alla Germania, alle Americhe sulle tracce dei tre padri gesuiti che portano avanti l’Esorcisazione di Veronica. Infatti la vicenda inizia il 23 dicembre 1834 quando il gesuita padre Kohlmann si reca accompagnato da un confratello in via Sant’Anna 52, dietro la chiesa di san Carlo ai Catinari, nell’appartamento della famiglia Hamerani (una dinastia di coniatori di monete e medagliette votive) un tempo ricca e operosa, arrivata a Roma nel ‘600, ma ormai decaduta. Lì i padri trovano distesa sul letto Veronica, la figlia più giovane considerata invasata, posseduta da demonio, per praticare un esorcismo.
Il diario degli esorcisti, ritrovato casualmente dalla storica in un faldone di miscellanea, è il particolarissimo documento da cui parte la vicenda inquietante. Diversi uomini non smettono di registrare, durante i mesi in cui si protrae il rito, il racconto in cui “il diavolo”, tra violenti ingiurie, battute in romanesco e risate convulse, prende direttamente la parola. Fernanda Alfieri, storica dell’università di Bologna, specializzata in sessualità e matrimonio dice: “È da questo limbo degli incollocabili che la storia di Veronica è arrivata qui, capitando fra le mie mani mentre cercavo altro, avvolta in una coperta di carta dai margini sbriciolati e con sopra un nome che non era il suo: Esorcisazione di Maria Antonina Hamerani, ritenuta ossessa (1834-35). Chi le ha dato un titolo aveva forse letto una piccola parte del plico contenuto nella cartella o comunque l’aveva ritenuta, quella piccola parte, più rilevante del resto. Che fosse per trascuratezza, che fosse per distrazione, o per una volontà precisa perduta nel tempo che ci separa, il custode della memoria, intanto, mi ha consegnato la storia di Veronica come la storia di un’altra. Qualcun altro, più tardi, ha cancellato Maria Antonina, scrivendoci sopra Veronica”.
E così Alfieri indaga su questa vicenda, attenta a non alterare i fatti, spaziando nelle vite e nella psicologia degli esorcisti e dei medici chiamati al capezzale della giovane donna. Quasi ogni giorno, una mano annota ciò che accade durante le visite e nelle ore precedenti e seguenti. Nell’estate dell’anno successivo il gruppo abbandona gli esorcismi e il diario si interrompe. Il corpo di Veronica, secondo alcuni, è posseduto dal “diavolo”, quindi da liberare dalla presenza del demonio; per altri, i medici e anche un gesuita che si ritira, si riconduce a un caso di isteria. L’isteria era collegata al fatto che nel corpo femminile venivano trattenuti umori che sarebbero serviti a un eventuale feto. Accettare che fosse solo un’isterica significava accettare che un corpo potesse soccombere al desiderio, che l’amore non soddisfatto potesse arrivare a distruggere, dunque doveva essere un’ossessa per il bene della Chiesa di Roma, costruita sul celibato. Molto interessanti e di attualità le pagine sull’epidemia di colera del settembre 1836 a Roma: “Intanto la città spurgava nell’afa e gli ebrei vendevano gli stracci dei morti insieme ai materassi sui quali avevano tratto l’ultimo respiro, prima ancora che passassero per le apposite lavanderie choleriche…”. Per la Compagnia di Gesù la catastrofe epidemica era un’occasione preziosa dove i medici fuggivano per mettersi al riparo e se restavano erano inutili e impotenti. Non solo non sapevano come curare, ma sostenevano l’idea errata e deleteria che il contagio fosse universale e inevitabile”.
Ci sono tante anime in questo libro: medici romani e forestieri influenzati dalle moderne teorie psichiatriche in odore di eresia; esorcisti, devote nobildonne, streghe di campagna e, naturalmente, lui: Satanasso. Se ci fosse stata la certezza che Veronica fosse posseduta sarebbe stato un grande successo per la Chiesa e in particolare per i Gesuiti, espulsi in precedenza e poi riammessi, desiderosi di tornare in auge come un tempo. Il nemico è ovunque, specialmente nel corpo delle donne, sarebbe stato un segnale che si poteva vincere. Anche la famiglia Hamerani, ormai decaduta dagli antichi fasti di coniatori del papa, ne avrebbe tratto un certo alone di rispettabilità e onorabilità.
“Il diavolo dimandò gridando, e fremendo: Chi ti ha dato questa autorità? Iddio, disse il Padre. E il diavolo: Non l’onorerò mai, e fece risate. Il Padre accrebbe pene se non diceva come si chiamasse. Rispose: Adesso mi hai colto, e disse di chiamarsi Satanasso. E poiché il parroco suggeriva al Padre le cose necessarie, il diavolo disse a questi: Vattene ignorante. Il Padre rispose: Meglio essere ignorante che superbo. Lo stesso procurò di mettere addosso all’ossessa delle reliquie. E questa le buttò via. Quindi cominciò ad avere un gran viscido alla gola, con grandi smanie di vomitare. Si vedeva questa povera giovane con un fortissimo affanno, con angosce fierissime, con lunghe strette quasi strozzato. Queste strette le facevano alzare la testa, allungare le braccia, gettarsi di piombo indietro, e sopra l’uno e l’altro fianco, scoteva il capo fortemente, poi chiedeva aiuto con una voce grossa da balbuziente. Ogni tanto faceva violentissimamente col corpo, e colle braccia quei moti che fa una persona che non sa stare a cavallo, e la bestia di trotto accelerato lo porta via, e lo fa saltare, e dondolare di qua e di là. Ogni tanto si gettava tra le braccia di due zie, che stavano alla sponda del letto. Ogni tanto allungava le braccia gridando che la tenessero per le due mani. Poi sputava viscido, tanto che fece un buon mezzo catino. Diceva che sentiva gran dolori dentro”. Una vera tortura per la ragazza.
I protagonisti, cioè coloro che tengono il centro narrativo del libro sono a mio parere i Padri Gesuiti e le loro vicende tra soppressioni settecentesche-napoleoniche e la Restaurazione, insieme disputa sul controllo del "corpo" di Veronica. Un libro che ricorda il recente “L’Architettrice” di Melania Mazzucco, per l’ambientazione romana e la precisione dei dettagli. Da rilevare infatti la ricchissima biografia, notevole accuratezza storica e abbondanza di particolari, note e documenti in originale. In tutto questo dispendio di energie il lettore, che non è lo storico, rischia tuttavia di perdersi perché non riesce a seguire il filo: qui si passa nel giro di due pagine dal menzionare Napoleone a disquisire sulla particolarità degli alberi piantati dalla duchessa Livia nel borgo di Genzano, luogo in cui forse è avvenuta una fattura contro le sorelle Hamerani. Insomma si tratta del classico libro ostico… non permette al lettore l’immedesimazione che è la magia di un buon romanzo: scrittura di qualità imprigionata in uno schema troppo rigido.
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