28/06/2013
Una libreria non è solo un negozio o un magazzino in cui si accumula la merce da vendere: può essere anche un piacevole luogo d’incontro e di scoperte. Così la Libreria Becarelli ha organizzato durante l’inverno incontri tematici sulla poesia che hanno registrato un grande successo. Ora i versi letti nel corso degli otto appuntamenti sono editi, con i relativi commenti, in un volume (Francesco Ricci, “Un inverno in versi”, pp. 244, € 16,90, Becarelli) che inaugura una collana denominata “I Quaderni dello Spinone”, in omaggio al cane che girovaga tra le pile con distratta flemma: a tal punto l’ospitale padrona di casa vuol tenersi discretamente in disparte. Si sa che darsi un tema e scegliere alcune poesie ad esso attinenti per svolgerlo può essere esercizio molto rischioso e sicuramente arbitrario. Francesco Ricci, amatissimo docente al Classico Piccolomini, si è dato una formula: ogni sera otto testi, preceduti da una pagina che funge da esca d’avvio. E poi non solo lettura attenta e filologiche chiose, ma disinvolta spettacolarizzazione, ad opera dell’istrionico Francesco Burroni e brani musicali, e traduzioni di prima mano a cura di Duccio Fanetti per il repertorio della classicità e di Elisa Bennati per la cultura anglofona. Insomma un cast di tutto rispetto per otto itinerari attraverso il tempo, alla libera – gioiosa e disordinata – ricerca di suggestioni e di immagini. Deliberatamente Ricci, che guida alla comprensione della lingua poetica con sapiente dosaggio interpretativo, ha escluso, come del resto fa in quella singolare comunità ermeneutica che è una classe di liceo, vetuste impostazioni storicistiche e si è sbizzarrito in accostamenti e proposte. Non c’è dunque da lamentarsi per assenze e preferenze: né per gli argomenti prescelti o per i nomi del bizzarro florilegio. Quanto agli argomenti sono stati individuati con estro: l’amicizia, il silenzio, la città, l’amore, il viaggio, l’omosessualità, la poesia civile, la notte. Taluni esplicitamente riferibili a stati d’animo cantati lungo i secoli, altri a momenti meno celebrati. E circa i nomi certe esclusioni vanno accettate come in un gioco di carte: Leopardi compare una volta, Montale e Sereni sono assenti addirittura. Tant’è. Le lunghe citazioni poste a esergo rivelano la voglia di fornire chiavi contemporanee e punto banali. Se Nietzsche introduce all’amicizia, Engels dà un quadro drammatico di una fremente Londra, l’immancabile Heidegger s’incarica di comunicare le sensazioni provate all’arrivo a Delfi, Foucault sulle “sessualità periferiche”. Max Weber è convocato per la professionalizzazione della politica: non sarebbe male che la sua lezione venisse meditata da chi sproloquia su caste e burocrazie. Di Simone Weil un passo dal carteggio con Joe Bousquet è come un sipario che cala a sigla del succoso ed esperto montaggio. Trascegliere da una scelta non è il modo migliore di riferire di un lavoro condotto con mirato calcolo di effetti e collegamenti. Catullo e Pavese stanno accanto nel capitolo sull’amicizia ed è sintomatico il coinvolgimento di Rilke: “Noi siamo soli. Ci si può ingannare su questo e fare come se non fosse così. È tutto. Ma quanto meglio è comprendere che noi lo siamo, soli, e anzi muovere di lì”. L’intento didattico non va mai a scapito della curiosa apertura critica e la parafrastica e piana spiegazione non sostituisce le essenziali e rigorose note. I piatti erano davvero ben cucinati, e tutti appetibili. Francesco Ricci ha avuto il merito di non seguire troppo esclusive predilezioni. Nella serata dedicata all’impegno civile, ad esempio, a Solone faceva seguito Orazio e poi, con un salto di secoli, era chiamato alla ribalta Foscolo. Quindi era la volta di Brecht, Eluard, Neruda, Fortini e Sanguineti. Di costui la scoppiettante “Ballata della guerra” suona ora briosa e pungente quanto ideologica e rétro nel bel mezzo di una campagna elettorale: “principi, presidenti, eminenti, militesenti potenti, erigenti esigenti monumenti indecenti, / guerra alle guerre è una guerra da andare / lotta di classe è la guerra da fare”. Se ci sarà una nuova edizione della bella iniziativa – speriamo – un consiglio, non solo tipografico: le poesie vanno impaginate a bandiera e con un corpo almeno pari a quello dei discorsi che fanno loro corona e non in corsivo. Sarà, certo, impossibile inventare un titolo più pertinente. Che è esso stesso un verso, uno sbilanciato senario con tanto di interna iterazione (“inver”), che non evoca soltanto la stagione che favorì caldi e colti conversari: con quelle musicali variazioni in bilico tra “no” e “si”!
(Articolo pubblicato sul Il Corriere di Siena del 24 maggio 2013)
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