31/01/2012
La nostra analisi trova il suo culmine tra la seconda metà degli anni Sessanta e i primi anni Settanta, quando più conflittuale fu la dialettica tra le componenti che si muovevano all’interno del movimento operaio locale e più evidente la carica delle contraddizioni destinate a deflagrare sulla scena politica. In effetti, questo nostro lavoro vuol essere il racconto di una rottura politica, nata e sviluppatasi in un ambito ben preciso: quello del Partito comunista e della Camera del Lavoro di Colle Val d’Elsa. E’ in questo contesto che si andarono gettando le basi per la formazione di un nucleo di militanti, prima informale poi sempre più strutturato, che avrebbe dato vita alla singolare esperienza del Collettivo operaio, gruppo a vocazione pre-partitica e di base, animato da operai, intellettuali e studenti.
La storia del Collettivo operaio - Proprio le vicende del Collettivo operaio rappresentano la pietra angolare della nostra ricerca. Questa esperienza fu, principalmente, il risultato dell’incontro di tre diversi elementi: un radicale rinnovamento all’interno della Camera del Lavoro con l’emergere di una diversa concezione del sindacato e della lotta di fabbrica; la presenza all’interno del Pci di una componente critica, seppure minoritaria e non strutturata, che si interrogava da tempo sulla natura dello stalinismo e sull’inadeguatezza del centralismo democratico; infine, l’influenza culturale e politica delle istanze del ’68 studentesco e del ’69 operaio. L’acuirsi della tensione politica tra Pci e Camera del Lavoro, la cui impronta politica si era radicalizzata, portò inevitabilmente a uno scontro frontale tra le due realtà. A questo contribuirono anche significative sollecitazioni esterne come le vicende del Maggio francese, la nascita di nuove formazioni alla sinistra del Pci e, soprattutto, la radiazione del gruppo del Manifesto. Si posero così le condizioni per una cesura di carattere non solo politico, ma anche generazionale, che si concretizzò nel 1970 con la radiazione dal Pci locale di 5 membri del Collettivo, le dimissioni di altri 17 militanti e con la riconquista della Camera del Lavoro da parte della corrente legata al Pci. La rottura determinò la trasformazione del Collettivo da movimento di base della sinistra operaia a organizzazione autonoma, fino alla sua confluenza, nel 1975, nel Pdup per il Comunismo. Gli effetti di questo scontro si ripercossero nell’immediato (tanto nei partiti quanto nelle fabbriche e nel sindacato) e si sarebbero perpetuati, nel corso degli anni, nell’immaginario collettivo e politico del sistema locale.
La Val d’Elsa - Il nostro progetto, tuttavia, non si presenta semplicemente come una ricerca di storia locale. Gli avvenimenti e le dinamiche sociali e politiche che si sono sviluppate a Colle Val d’Elsa in quegli anni possono rappresentare un microcosmo significativo utile per un’analisi più ampia. Lo studio di questo periodo storico in un ambito territoriale ristretto ci permette di osservare, da ottiche diverse, fenomeni che troppo spesso sono diventati emblematici unicamente in ambito metropolitano. Del resto quella colligiana non è semplicemente una realtà di provincia; essa presenta una sua originalità fin dall’età medievale per la vivacità economica e sociale dovuta, in modo particolare, alla forza idraulica che ha alimentato le sue manifatture e attività produttive: un contesto proto-industriale che si è evoluto nel tempo, mantenendo, anche nel ‘900, un significativo rilievo in particolare nel settore del vetro, che contribuì a far emergere dal punto di vista sindacale alcune figure che superavano l’ambito locale, come nel caso del segretario nazionale del Sindacato Vetro, Orazio Marchi. Questa vivacità economica e sociale ha sviluppato una tradizione culturale che si è espressa in vari campi, dalla presenza, a partire dal XIX secolo, di riviste e quotidiani che hanno ricoperto un ruolo spesso determinante all’interno del dibattito politico toscano (e talvolta nazionale), come “La Martinella”, “L’Elsa”, “La Giustizia sociale”, fino al “Selvaggio”, con importanti riflessi nell’ambito della cultura, come nel caso di Romano Bilenchi. Colle Val d’Elsa si inserisce pienamente in quelle aree di subcultura rossa (o di terza Italia) che è stata ampiamente analizzata in numerosi contributi storiografici e sociologici. Mancava tuttavia un’analisi che mettesse a fuoco i rilevanti, e poco conosciuti, spazi di eresia politica sorti all’interno di una salda egemonia riformista.
Gli anni ’60 e ’70 - La nostra ricerca si è concentrata soprattutto negli anni Sessanta e Settanta, finendo per coincidere con la periodizzazione, ormai classica, del lungo Sessantotto italiano. Rimane aperto, a questo riguardo, un interrogativo: se la vicenda del Collettivo operaio sia completamente ascrivibile alla categoria dei movimenti sessantottini. Senza dubbio il Collettivo può considerarsi, a livello locale, l’espressione più fedele delle istanze della contestazione, dal momento che ha coperto lo spazio politico dei gruppi extraparlamentari e ha attratto a sé gran parte del movimento studentesco. Tuttavia possiamo scorgerne alcuni presupposti sia nella trasformazione del sindacato sia nella dialettica politica all’interno del Pci, a partire dalla crisi del 1956: tematiche politiche che travalicano lo spirito politico del Sessantotto; questo, semmai, ha agito da detonatore per determinare la rottura degli equilibri da un punto di vista politico, sindacale e culturale.
L’importanza della memoria - Il nostro lavoro verte in gran parte sull’analisi di fonti primarie: documenti, circolari, volantini, manifesti e materiali conservati in fondi pubblici e privati; una mole documentaria che, assieme alle cronache riportate sulla stampa del periodo, ha permesso la definizione delle linee portanti e dei contorni della storia che abbiamo provato a raccontare. Tuttavia non ci sarebbe stato possibile completare il quadro senza fare ricorso ad altri tipi di contributi come le testimonianze orali e la memorialistica inedita. Delle prime sono stati già ampiamente ricordati, in sede di ricerca storiografica, pregi e limiti; ci è sufficiente, in questa sede, evidenziare quanto il contributo del ricordo e della rievocazione testimoniale sia stato utile per colmare i vuoti lasciati dalla carenza (quando non dall’assenza) di documentazione ufficiale e, d’altro canto, anche per restituire importanza al lato prettamente umano ed emotivo di quell’esperienza. Diverso, e più complesso, il discorso sull’utilizzo della memorialistica inedita. Da questo punto di vista, due sono state le assi portanti di questo lavoro: la memoria “Il 68 a Colle” scritta da Enzo Sammicheli e il diario di Silvano Tanzini.
Enzo Sammicheli - La memoria di Sammicheli - segretario della Camera del Lavoro colligiana dal 1953 al 1967 e poi sindaco fino al 1980 - ha ricoperto un’importanza significativa per il nostro lavoro perché si è trattato del primo tentativo di fornire una rielaborazione organica degli eventi intorno agli anni della contestazione in ambito locale; ricostruzione tanto più interessante in quanto proveniente da una voce contrapposta a quella del Collettivo operaio.
Silvano Tanzini - Il diario di Tanzini ha assunto invece un ruolo del tutto particolare nell’economia della nostra ricerca. Silvano Tanzini è stato una figura di primaria importanza nell’ambito delle vicende legate al Collettivo e alla rottura all’interno del movimento operaio colligiano1. Il suo diario, che copre un arco di 45 anni, si presenta come un’opera insolitamente ricca dal punto di vista della riflessione politica, culturale ed esistenziale. La traccia lasciata dai ricordi di Tanzini si è trasformata spesso nel filo conduttore delle vicende più importanti che abbiamo raccontato ne “L’utopia della base”. Ma, al di là di questo, Silvano Tanzini ha avuto un altro grande merito: egli è stato il primo a dedicarsi alla ricerca in relazione alla storia del movimento operaio colligiano degli anni Sessanta e Settanta. Molto del materiale da lui raccolto è lo stesso che noi abbiamo utilizzato per portare avanti la stesura del libro e il compimento di questo progetto. E’ anche grazie al suo lavoro se “L’utopia della base” ha potuto essere scritto e pubblicato.
Nota introduttiva degli autori (Francesco Corsi, Pietro Peli e Stefano Santini) al volume “L’utopia della base”
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