Non sappiamo mai quando la felicità ci colpisce! Noi siamo lì, a darci in pasto ai pensieri che la nostra mente produce in serie, uno dopo l'altro, arrovellandosi a mettere in scena ora una tragedia ora una commedia, ora un musical, un film, una sceneggiata di quelle napoletane e, lei, la felicità sopraggiunge celata dal velo del silenzio e dell'ignoto a destare il nostro interesse ancora in fasce. Erano giunti sconosciuti, separatamente, all'agriturismo dove si sarebbe tenuta la gara di lettura di classici italiani a cui si erano iscritti. Erano appassionati di Calvino, in modo particolare. Tutti e due amavano il racconto “Gli amori difficili”. In particolare. Ma ancora non sapevano nulla l'uno dell'altra. Dopo il primo incontro di gruppo e le classiche presentazioni, iniziarono gli incontri veri, quelli in cui un concorrente dopo l'altro si esibiva mesto nella propria esposizione sonora e gli altri erano dediti ad un ascolto delicato e preciso delle parole, dell'impostazione della voce, della ricaduta timbrica, del coinvolgimento emotivo, di quell'autonomia propria delle singole parole che componevano ardite frasi andandosi ad accostare l'una all'altra senza addossarsi o ribellarsi.
Lui, Alberto. Lei, Camilla. Lui minuto. Lei pure. Da subito Camilla l'aveva notato. Era gennaio. Faceva freddo. Lui le porse la sua sciarpa e il suo cappello. Lui da subito premuroso nei suoi confronti. Lui da subito gentile. Lui dagli occhi azzurri. Lui così attento e silenzioso. Lei, solare. Sorridente. Sicura di sé. Di quella sicurezza non ostentata, ma scudo, intarsiato di sorrisi, parole gentili, di poesia, altruismo, compassione, comprensione. Stemma araldico del suo cuore, che non sempre fiero elencava uno dopo l'altro titoli e ricchezze dimenticati per permetterle di avanzare passo dopo passo anche con le lacrime di solitudine che le annegavano gli slanci di ardore puro. Avevano iniziato a sedersi accanto. Lei lo aspettava senza parola proferire. Contenta solo che ci fosse. Non sapeva perché. Quell'uomo le trasmetteva vicinanza, quiete, sicurezza. Si sentiva a casa con lui lì. Che ancora una volta, l'universo aveva voluto farle un regalo? Sì, l'Universo, padre amorevole, dalle forme maestose e infinite, le aveva fatto più doni. Non sempre la gratitudine che ci arriva dalla vita è comprensibile all'essere umano. Almeno non lo è subito. Solo il tempo, questa dimensione artificiosa, che ci proietta nelle nostre giornate piene, ci aiuta a capire, a interpretare cautamente, ognuno attingendo alla sua capacità di accettazione, amore, pudore verso se stesso e verso gli altri. In effetti, Camilla aveva ricevuto dei doni davvero preziosi: due figli, un marito normale che il tempo aveva reso un'altra persona, una famiglia, il tepore di una casa vissuta, un lavoro tanto tanto amato, alcuni incontri rari e significativi da far credere nelle favole.
Non erano mancati gli incontri di sofferenza: la conoscenza con la morte, con il dolore, con la maldicenza, con l'inquietudine, la stanchezza, il disorientamento, l'abbandono. Tutte forme di ribellione dell'anima evirata nella sua voce possente, nella sua forza divina, nel suo canto sublime che si eleva al cielo. Ma, c'è sempre quel ma che spezza la catena e permette la resurrezione. E, giunge come compensazione il dono che porta a galla il bello della vita. Camilla si era iscritta a quel concorso per sfuggire ad alcuni eventi che le appartenevano da troppo tempo e che non riusciva a lasciar andare. Situazioni personali che le graffiavano l'anima e le facevano vomitare una sedimentata tristezza che appariva allo sguardo altrui come un mistero. E, così attirava a sé i curiosi di turno. I manipolatori. I burloni della vita. Gli scontenti. Gli adulatori di falsità. Era indignata con sé stessa per non riuscire a ribellarsi a cotanta folla con le armi del dialogo e della gentilezza. Voleva distrarsi, conoscere gente come lei. Predisposta ad essere migliore. Impegnata ad essere mite, partecipe. Lontana dalla spregiudicata idea di fare uso del vicino di stanza per appropriarsi dei suoi effetti personali o per derubargli l'identità. E, poi, l'incontro con Alberto, il dono appena arrivato, avvolto in una carta di onestà e dolcezza. Se ne era accorta subito che quell'uomo non assomigliava agli altri che aveva incontrato. Così pacato, umile, accomodante. Così sopraffatto dalle vicende personali da esserne diventato servo, sconfitto. Questo la faceva predisporre in modalità di ascolto. I giorni da trascorrere in quel luogo così distaccato dalla quotidianità, passarono veloci e concentrati. Con Alberto lo scambio del numero di cellulare fu un gesto automatico, senza doppi fini, dal momento che abitavano nella stessa regione e in due città vicine. Avrebbero potuto incontrarsi per un caffè. Pensò lei tra sé e sé. Cosa ci sarebbe stato di male? Lui era un uomo con un vecchio legame alle spalle. Lei … Ecco, lei che donna era? Non lo sapeva. Dalla schedatura ufficiale, quella che appare sulla carta di identità era impegnata! E così tutto era legalizzato. Un insieme di lettere definivano una condizione non il vero stato di una persona! Nulla del suo essere felice o triste in quella condizione traspariva!
Come sempre, la vita va da sé. Quello che noi vorremmo, quello che pianifichiamo, a volte si dipana davanti a noi; altre volte, nonostante i nostri buoni propositi, il copione cambia completamente o in parte. Così, Camilla e Alberto si persero di vista. Anzi, si persero e basta trascinati dalle faccende ordinarie, dal diluvio di pensieri che come una tempesta estiva scuote fortemente la mente frullando le emozioni e riducendole a sensi di colpa o peggio in confuse e dolorose esperienze. O ancora nell'amara scoperta che ben volentieri gli esseri umani si trasformano in vampiri opportunisti e talvolta ingenui, lasciando la preda dissanguata. Dopo alcuni mesi, un famoso centro di yoga della città, proponeva alcuni incontri con una monaca buddista sul come praticare una meditazione efficacie. Camilla, anche lei praticava. Era da alcuni anni che si era avvicinata a quelle pratiche di indulgenza verso se stessi. L'aiutavano a concentrarsi, a controllarsi, a calmarsi. Così, si iscrisse subito, senza ripensamenti. Erano 4 incontri. Il venerdì sera così non avrebbe sottratto nulla a chi le orbitava intorno. Infine, un ritiro in un luogo di pace. Benvenuti! Un cartello nell'ingresso invitava al silenzio. Un altro indicava gli spogliatoi dove lasciare le scarpe e indossare calzini e abiti comodi. Poi, sulla destra si apriva una grande sala dal profumo di oriente. Ogni partecipante poteva prendere un cuscino e sceglieva dove posizionarsi. Camilla, come sua abitudine, scelse un angolo della stanza da cui poteva subito uscire dalla sala, vicino alla porta che dava sul corridoio. Era intenta a guardarsi intorno, a sorridere, ad osservare gli altri che sopraggiungevano. Una leggera agitazione iniziò a salirle su per la schiena, nella pancia e poi, lo vide. Era dimagrito, ma i suoi gesti si erano mantenuti gentili. Anche lui la vide e la salutò con un cenno della mano. Poi, si avvicinò e le diede un bacio sulla guancia. I momenti del corso li avvicinarono ancora di più. Messaggi e chiamate si susseguirono per mesi, oltre la fine di quel corso. Si frequentarono sporadicamente per un po'. Si conobbero anche meglio di un marito e di una moglie. In quella intimità che non è fisica, pur se il desiderio, presente, non fu mai soddisfatto. Ma l'intimità dello sguardo e dell'amarsi era prepotente tanto che presero la decisione di allontanarsi.
Alberto non ne fu convinto fin dall'inizio. Era una decisione che gli faceva male. Avrebbe voluto continuare quell'amicizia così speciale! Una volta al mese un messaggio: Come stai? Tutto bene? Sono qui! Ma Camilla! Camilla no! Non poteva comprendere una cosa del genere! Non poteva e non voleva, mantenere un'amicizia che era andata oltre, non voleva accettare come da bambina di seguire quei consigli imperativi, ma inevitabilmente amari impartiti dagli adulti. In questo caso da Alberto. Le troppe e giuste imposizioni a fin di bene, inoltre, avrebbero snaturato quelle che sono le caratteristiche di un intimo rapporto di amicizia. Ed ecco sopraggiungere le domande salvifiche. Che cosa le stava accadendo? Che cosa rappresentava quell'uomo per lei? E, lei per lui? Era davvero quello che entrambi nascondevano e che avevano paura, quasi terrore, angoscia di rivelare l'uno all'altro? Ormai aveva preso una decisione; aveva quella capacità di chiudere le porte per tenere fuori il dolore, quello stesso che l'aveva accompagnata per anni, che aveva imparato lentamente ad accogliere e fare suo amico. Ancora una volta, l'universo le aveva fatto sì un regalo, ma non quello sperato, non quello! Nella più concentrata malinconia, Camilla aprì la porta di casa, prese le chiavi e seguì le sue gambe e i suoi piedi che la condussero lontano, il più possibile da quel volto, quel sorriso, quel profumo. Quegli occhi. Ancora una volta, la vita le stava facendo un dono, questa volta recuperato dall'anno, dagli anni precedenti: una concentrata solitudine mascherata, abbellita qualche volta con un rossetto bordeaux, nutrita ogni giorno con sollecitudine e compassionevole gratitudine. Pianse. Pianse tanto quel giorno in cui sembrò svegliarsi da un sonno indotto dalla volontà di sparire, dissolversi nelle nubi basse cariche di pioggia. Quelle gocce di un sapore delicato e deciso, raggiunsero la bambina, quella piccola Camilla che giocava con le bambole nella sua camera, tutta sola e ad ogni piccola difficoltà la mamma accorreva per abbracciarla. Ecco, Alberto era stato gentile, ma ora doveva camminare da sola. Senza di lui. Senza la mamma. Senza quel marito padre. Senza i figli desiderati e amati. Doveva mettere a frutto ogni minuto, solo così sarebbe diventata meno schiava del futuro. Tra un rinvio e un altro aveva permesso che fossero gli altri a consolarla, ma il risveglio ormai l'aveva proiettata nella realtà del presente in cui da sola avrebbe attraversato finalmente la vita.
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