17/12/2013
Sono stordito, lo confesso. Questo scendere nelle viscere di Londra mette in moto, nella mia testa, un numero impressionante di ipotesi. Colpa dell’aver divorato troppi libri e troppi film. E allora mentre sui muri scorrono le locandine di decine e decine di spettacoli teatrali, torno col pensiero al sacro “Canone”. Sherlock Holmes odiava la metropolitana. Troppo gente – e in effetti ce n’è davvero tanta. Inoltre il luogo era soffocante e non si poteva pensare di venirne fuori senza tracce di fuliggine sul viso e sui vestiti. Altri tempi, quelli del detective, è ovvio. All’epoca i treni sotterranei viaggiavano a carbone. Oggi a parte la gran calca di persone, credo che Holmes non avrebbe nulla da osservare… Forse una carrozza di piazza (un taxi nel mio caso) farebbe più atmosfera sherlockiana. La metropolitana però garantisce spostamenti molto più veloci. Ma dove siamo diretti? Ecco, il punto è questo. Allergici come siamo a fare programmi, siamo partiti di prima mattina per Londra senza stabilire cosa vedere. Così, prima di varcare i tornelli che aprono la strada verso i binari, ci fermiamo in disparte per un piccolo summit familiare. Da Paddington, oltre a quelle che si sono aggiunte in seguito, parte la Bakerloo line, la più antica delle linee della metropolitana di Londra, inaugurata nel 1863. E dunque, in omaggio alla storia, cominceremo da lì. E tanto per restare in tema di omaggi, ci fermeremo alla Baker Street Station. Insomma, senza nemmeno averlo proposto, mi trovo servito su un piatto d’argento la meta che più di ogni altra, non fosse che per motivi sentimentali, mi sta a cuore. Dunque si parte per Baker Street. Il che significa che faremo sosta al 221B, la casa di Holmes e Watson. Il luogo del “Canone” per eccellenza. Il punto di inizio di tante e tante avventure dei Nostri. Dire che sono al settimo cielo è poco. Ci pensano moglie e figlie a riportarmi dritto sulla terra. “Così ci togliamo subito il dente”, esclamano all’unisono. “Che carine!” penso.
Baker Street Station – La fermata alla Baker Street Station, che a me è sembrato non arrivare mai nonostante i pochi minuti che si impiegano da Paddington, mi restituisce il sorriso. E non solo per il fatto di trovarmi esattamente dove volevo. Il fatto è che gli arredi di questa stazione ammaliano tutti. Appassionati di Sherlock Holmes, indifferenti cronici e inconsapevoli (anche se forse si contano sulla punta delle dita le persone che ormai ignorano l’esistenza – reale o semplicemente letteraria – del geniale detective). Ecco, tutti si voltano a guardare le mattonelle incollate alle pareti che riproducono una grande immagine stilizzata del detective, il cappellino deerstalker in testa (un falso storico, visto che Watson non lo cita mai) e la pipa in bocca. Il mosaico è frutto dell’accostamento di 58 mattonelle. Ma salendo al livello successivo il ritratto diventa più piccolo: due profili per ogni mattonella, ma il loro ripetersi, una accanto all’alta e una sopra all’altra, finiscono per riempire la parete di un ossessivo ripetersi del volto di Holmes. E la stessa cosa avviene al livello ancora superiore, con l’unica differenza che qui, ogni mattonella riproduce la sagoma di Holmes per ben 94 volte. Ma c’è di più. Al di sopra delle panchine di attesa ci sono grandi tavole, sempre in ceramica, che illustrano, con tanto di citazioni, alcune delle avventure narrate da Watson. È inevitabile avere un moto di meraviglia. E a giudicare dal rumore di clic e dai lampi di flash di reflex, compatte, smartphone e tablet forse, Big Ben a parte, queste pareti sono il luogo più fotografato di Londra. Ma questo è un angolo di Londra che non concede tregua all’appassionato dell’eroe creato dalla penna di Arthur Conan Doyle. Perché non si fa in tempo a uscire all’aperto che sul marciapiede di Marylebone Road si è accolti da una bella e imponente statua dedicata a Sherlock Holmes, costantemente assediata da turisti e curiosi. Eppure il monumento non riesce a trattenermi più di tanto. Il vicino incrocio è ciò che mi attira, come una calamita. È lì che si interseca Baker Street. E poco distante da quell’angolo, lo so, inizia il tratto di strada che Sherlock Holmes e il dottor Watson vedevano dalla finestra a bovindo del loro appartamento. Ed è in quella direzione che mi involo.
221B Baker Street – Non importa avere una conoscenza di Londra o proprietà deduttive da Sherlock Holmes per individuare l’indirizzo che interessa qualsiasi appassionato holmesiano. Basta guardare anche solo distrattamente la strada e si capisce da che parte si deve andare. Che senso avrebbe, altrimenti, una fila interminabile di persone in questa via? E perché alcuni dovrebbero indossare il deerstalker? Già, perché se si vuole visitare la casa che fu di Holmes e Watson, quella situata al 221B di Baker Street, bisogna mettersi in fila e rassegnarsi a un’attesa che supera le due ore. È una prospettiva terribile. Fa caldo, anche se ogni tanto passa qualche nuvola, e non si può pensare di sedersi da nessuna parte. Tuttavia non si può di certo rinunciare. Eppure, da appassionato – o da integralista holmesiamo, come ama definirmi un mio caro amico – nell’osservare questa fila di fan di Holmes mi scappa un mezzo sorriso di incredulità. Perché mai, vi starete chiedendo. La risposta è semplice e scoraggiante al tempo stesso: il fatto è che la casa resa celebre dall’eroe di Doyle non esiste e questa che viene spacciata per esserlo è nient’altro che una finzione. Non ci credete? Ebbene la storia della toponomastica di Londra parla chiaro. All’epoca di Holmes il 221B, in Baker Street, non esisteva. I numeri civici, infatti, si fermavano all’85. Il numero 221B, in seguito al riordino dei numeri civici, cominciò ad esistere solo negli anni Trenta del Novecento. Fu assegnato ad una palazzina art decò dove, fino al 2002, ebbe sede la Abbey Road Building Society. E fu quest’azienda, viste le migliaia di lettere di ammiratori di Holmes da cui veniva inondata, ad aprire una “segreteria di Sherlock Holmes”, che rispondeva a ogni missiva ricevuta. Il numero civico reale del famigerato 221B sarebbe, in realtà, il 234 e corrisponde a una palazzina costruita intorno al 1815. La ricostruzione degli appartamenti di Holmes e Watson, dunque, è stata realizzata in locali che corrispondono in maniera verosimile a quelli descritti da Doyle. A parte il Bobby che staziona davanti all’ingresso – una trovata scenografica e niente più – tutto replica quanto si può leggere nelle storie di Holmes: i diciassette scalini per giungere al primo piano (li ho contati ad uno ad uno!), le poltrone, il caminetto, le pipe, i ritratti dei criminali appesi alle pareti, il violino, il microscopio, l’angolo attrezzato a laboratorio chimico… . Insomma tutto è ricreato alla perfezione. E però, lo dico senza timore, ho trovato assai più affascinante la ricostruzione del salotto allestita nel piccolo museo sherlockiano di Meiringen, in Svizzera, vicino alle cascate di Reichenbach dove Holmes inscenò la sua finta morte. Comunque sia, la visita vale la pena anche solo per vedere, nel suo insieme, come era disposto un appartamento inglese dell’Ottocento. Ma è difficile cogliere sensazioni ed emozioni. Troppe persone che vagano per le stanze, che si siedono accanto al caminetto e, pipa in bocca, si fanno fotografare. E sulle costruzioni dall’altra parte della strada, caffè e diner che hanno nomi e immagini che richiamano Holmes. Insomma, una bella operazione “turistica”. Simpatica, godibile, ma non il massimo della vita per uno sherlockiano navigato.
Il museo di Sherlock Holmes – In una sorpresa vera, invece, mi imbatto nei locali del Museo di Sherlock Holmes (in realtà è lo shop a fianco alla casa). E non per i libri, i poster e gli oggetti in vendita a cifre non sempre abbordabili, a dire il vero. No, la sorpresa vera si trova nel seminterrato, e non ne avrei mai fatto la scoperta se non avessi avuto un bisogno fisiologico da espletare (tra l’altro vale la pena andare in bagno anche se non ne avete bisogno: è un vero ambiente d’epoca vittoriana). Scendo le scale e arrivo davanti alla toilette. Come nella migliore delle tradizioni è occupata. E allora mi guardo un po’ intorno. C’è una grande porta di legno sulla parete parallela a quella delle toilette. Una parete poco più larga della porta stessa. E sulla porta, ad altezza occhi, c’è una feritoia. Mi affaccio e… ecco ancora un allestimento del salotto di Sherlock Holmes. Non si può entrare. Si può guardare solo dalla feritoia. Ma secondo me è assai più bello di quello riprodotto nella casa a fianco. E ne resto talmente affascinato che, se non fosse scesa mia figlia a chiamarmi, sarei rimasto lì in estasi chissà per quanto tempo.
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Nato a Siena nel 1964, vive a Prato dall’età di quattro anni. Prima cronista sindacale e politico per diverse testate, poi direttore di un settimanale economico locale, oggi lavora in un ufficio stampa istituzionale. A trent’anni la riscoperta di Sherlock Holmes: la particolarità del personaggi, una concezione del mondo e della vita, l’epoca storica in cui si svolgono i fatti lo affascinano al punto che, quando incontra “Uno studio in Holmes”, l’associazione degli scherlockiani italiani, non può che lasciarsi coinvolgere. Sulla rivista dell’associazione, “The Strand Magazine”, di cui oggi è direttore responsabile, ha pubblicato quattro racconti. Il palio di Sherlock Holmes è il suo primo romanzo.
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