02/12/2013
È difficile scrollare via i ricordi del Dartmoor, tacitare le emozioni che suscita nonostante i giorni che passano. Perché dopo aver vagato nei luoghi del terribile segugio dei Baskerville, più per caso che per premeditazione, passiamo alcuni giorni lontani dalla piste di Sherlock Holmes e Arthur Conan Doyle. Senza dubbio è un fatto positivo. Non sarebbe facile apprezzare i luoghi, percepire le sensazioni corrette, immergersi in altre avventure. L’esperienza del Dartmoor, davvero, è stata totalizzante. Così sono sollevato al pensiero che il 5 e il 6 di agosto siano corsi via, senza “deviazioni” sherlockiane, in mezzo alla bella campagna inglese. Ma a partire dal 7 agosto le nostre strade tornano a incrociare quelle dell’eroe di Baker Street. Tuttavia si tratta di incontri fugaci, Un semplice riaffiorare di ricordi alla memoria. Accade a Winchester, dove siamo giunti con il solo scopo di visitare la tomba di Jane Austen all’interno della meravigliosa cattedrale gotica. In realtà, scopriamo che la città offre altre meraviglie: il salone della Tavola rotonda di re Artù e l’antico college, tanto per citare a caso due delle perle che impreziosiscono l’antica capitale del Regno d’Inghilterra. Ma, mentre mi muovo per le vie ordinate della città, non posso fare a meno di sfogliare mentalmente le pagine delle avventure di Sherlock Holmes.
Incontri fugaci – Già… il detective e il dottor Watson ammirarono dal treno la cattedrale della città mentre si recavano a Copper Beeches, nella campagna vicina a Winchester, nel corso de L’avventura dei Faggi Rossi. Nel’ippodromo cittadino, anch’esso quasi in campagna, i Nostri assistettero invece alla Wessex Cup, la corsa di cavalli al termine della quale si scioglie il mistero narrato in Silver Blaze. E infine, nella prigione di Winchester viene imprigionata Grace Dunbar, che Holmes scagionerà dall’accusa di omicidio nel corso del racconto Il mistero del ponte sulla Thor. Altro incontro sul filo della memoria si realizza il giorno successivo – l’8 agosto - mentre attendiamo di entrare all’interno del bellissimo castello di Windsor, residenza della famiglia reale inglese. Continuando a scorrere le pagine scritte da Doyle, infatti, rammento le ultime frasi del racconto L’avventura dei piani Bruce-Partington in cui Watson riferisce che qualche settimana dopo aver risolto il caso Holmes trascorse una giornata a Windsor dove “una certa benevola dama” gli aveva fatto dono di “un fermacravatte di smeraldi piuttosto notevole”.
Colpi di carabina –Decisamente non fugace e anzi decisamente coinvolgente è l’incontro che, nel pomeriggio, faccio ad Eaton, la cittadina che, separata da Windsor solo da un ponte sul Tamigi, ospita il college dei gentiluomini e dei nobili. Tutto avviene nell’austero cortile del college, dove l’immaginazione prende il posto della realtà. D’un tratto, come usciti dal nulla, incrocio i volti perfidi e minacciosi del colonnello John Sebastian Moran, intelligente e pericoloso braccio destro di Moriarty, e di John Clay, l’uomo che ideò l’associazione e l’intrigo di cui Watson parla nel racconto La Lega dei capelli rossi. Maran e Clay avevano studiato qui e le loro anime, a quanto pare, vi hanno fatto ritorno. Provo un brivido. Perché questi due (ex) gentiluomini che hanno scelto di percorrere le strade del crimine, lo so, sono disposti a tutto e covano un desiderio di vendetta che da Holmes, l’uomo che li incastrò e pose fine alle loro carriere, si irradia a tutti coloro che sono anche semplici amici del detective londinese. Cercano me e me soltanto, in mezzo alle decine di turisti che ammirano le facciate severe che attorniano questo quadrilatero pavimentato di pietre grigie. E il brivido diventa paura. Non so perché John Clay, all’improvviso, abbia deviato in un’altra direzione. E non mi interessa saperlo. Il fatto è che il colonnello Moran mi rivolge un ghigno diabolico. E come in un gioco di prestigio, nelle sue mani si materializza una carabina ad aria compressa. La stessa, temo, con la quale sperò, tanto tempo fa, di uccidere Holmes (vedi il racconto La casa vuota). Mi sento in trappola ma pensando ad Holmes mi faccio forza e inizio a zigzagare, a passo sempre più svelto, in mezzo ai turisti. Il cuore batte forte e il respiro è affannoso. Mi rendo conto che, ormai, sto correndo. E sebbene non si tratti di un comportamento molto eroico, è una fortuna che me la sia data a gambe, perché mentre attraverso il passaggio a volta che riporta sulla strada avverto i sibili dei colpi partiti dalla carabina. Ma ormai sono al sicuro. Lo spirito di Moran, come quello di Clay, non può avventurarsi fuori dai confini del college. La loro condanna dopo la morte è quella di vivere rinchiusi dentro l’istituzione che aveva tentato di educarli alle buone maniere, oltre che alla cultura, quando erano giovani studenti. Ma è impressionante vedere come un animo nobile che ha deviato sulla via del Male non abbia pentimenti e non trovi giovamento da nessuna punizione che gli venga inflitta. Dunque, era di ben altra razza il malvagio che si annidava nella buona società rispetto a quella lurida e stracciona – per quanto violenta – che Holmes incrociava nei quartieri malfamati e affamati di Londra. Lì almeno, mi viene da pensare ora che mi sono liberato dalle immagini della fantasia, si potevano trovare delle scusanti: la necessità di sfamarsi, l’odio che scaturiva dalla miseria della propria condizione, la quasi nullità di speranza di invecchiare. E nel popolo violento che viveva in quella lurida povertà si incontrava, assai di più che nel mondo dorato delle classi agiate, la disposizione al pentimento. E poi… e poi chissà per quanto continuerei a filosofeggiare sull’oscuro volto dell’epoca vittoriana se, quasi per magia, non mi sentissi risucchiato dai locali angusti e invasi dai libri impilati ovunque di una polverosa libreria antiquaria. C’è di tutto. Vecchi romanzi, album di fotografie, fascicoletti, riviste… e in angolo quasi irraggiungibile di uno scaffale, un libro che mi attira a sé senza possibilità di resistere. Si tratta di un libro celebrativo (Sherlock Holmes. A centenary celebration, firmato da Allen Eyles nel 1986, per celebrare i 100 anni dell’uscita di Uno studio in rosso, pubblicato nel 1887). È un titolo che, a suo tempo, avevo valutato di comprare e poi, preso da altro, avevo finito quasi per dimenticare. Non è che sia un capolavoro di ricerca critica o chissà quale rarità editoriale. I testi, però, sono chiari e contengono informazioni oneste e il corredo iconografico, che contiene anche immagini d’epoca, è tutt’altro che disprezzabile. Ovviamente, lo compro.
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Nato a Siena nel 1964, vive a Prato dall’età di quattro anni. Prima cronista sindacale e politico per diverse testate, poi direttore di un settimanale economico locale, oggi lavora in un ufficio stampa istituzionale. A trent’anni la riscoperta di Sherlock Holmes: la particolarità del personaggi, una concezione del mondo e della vita, l’epoca storica in cui si svolgono i fatti lo affascinano al punto che, quando incontra “Uno studio in Holmes”, l’associazione degli scherlockiani italiani, non può che lasciarsi coinvolgere. Sulla rivista dell’associazione, “The Strand Magazine”, di cui oggi è direttore responsabile, ha pubblicato quattro racconti. Il palio di Sherlock Holmes è il suo primo romanzo.
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