28/10/2013
La visita a Eastbourne, complice il tempo infame che ci perseguita, non ha occupato che uno scorcio della mattinata del 31 luglio. E allora, sperando in un atto di clemenza di Giove pluvio, abbandoniamo quello che fu il “buen ritiro” di Sherlock Holmes per incamminarci alla volta della non lontana Crowbourugh. La pioggia, purtroppo, non rallenta. Ma nonostante questo, ignoro lo sbuffare di moglie e figlie e provo comunque a fare sosta nelle vicinanze di “Windlesham”, la casa nella quale Doyle abitò fino alla morte, avvenuta il 7 luglio 1930. È un’attesa vana, perché il maltempo non dà tregua. Così faccio presto a dimenticare le riflessioni sui viaggiatori dell’Ottocento con le quali mi sono cullato a Eastbourne. E comincio a pensare che la malasorte, o uno spirito maligno, si stia accanendo contro il sogno che ho coltivato per anni. Mi invade il timore che lo spiritello mi abbia sì permesso di arrivare in Inghilterra, ma che adesso faccia di tutto per rendere inutile – o quasi – questo viaggio tanto agognato. E, lo confesso, divento di umore nero. Mastico rabbia e non trattengo, anche se sussurrata a denti stretti, qualche colorita imprecazione. Per un po’ mi intestardisco a voler aspettare che il cielo smetta di rovesciarci addosso tutta quest’acqua. Ma, ormai quasi allo scoccare di mezzogiorno, per salvaguardare un clima di serena convivenza familiare, mi rassegno a ripartire.
Il villaggio di Hindhead - Questa volta la meta è Hindhead, il piccolo villaggio dove Doyle abitò dal 1897 al 1907 nella casa di Undershaw, casa che abbandonò dopo la morte della prima moglie Louise. Macino un bel po’ di chilometri in silenzio, il viso tirato, la rabbia che mi preme alla bocca dello stomaco per la pioggia che continua a mitragliare il parabrezza. Poi, all’improvviso, il diluvio cessa d’incanto. E via via che Hindhead si avvicina, spunta anche un po’ di sole. La perseveranza, dunque, ripaga. Oltrepasso il segnale che annuncia l’ingresso nei confini del villaggio ed ecco che, percorse poche centinaia di metri, noto un cartello pubblicitario. È l’avviso che Undershaw è in vendita. La proprietà attuale, infatti, come ho puntigliosamente raccontato in un altro articolo pubblicato su Toscanalibri.it (leggi), intende radere al suolo la casa che Doyle progettò, fece costruire e abitò, per realizzare, al suo posto, un complesso residenziale di villette. Ma tutto è fermo, per fortuna, in attesa della sentenza del giudice a cui si è appellata l’associazione Undershaw Preservation Trust che vuole farne, invece, un monumento nazionale per ricordare il luogo dove Doyle visse e scrisse alcune delle sue opere più importanti. Parcheggio, esco e mi inoltro nella viuzza che dalla strada principale conduce a Undershaw.
La casa vuota - D’improvviso, mi trovo davanti una sbarra che impedisce l’accesso. C’è anche un avviso: “Attenzione, zona videosorvegliata. Vietato oltrepassare la sbarra”. Ho un vero e proprio moto di stizza. Sono arrivato fin qui sfidando le intemperie e le proteste di chi mi accompagna. Non posso accontentarmi di vedere appena una porzione della casa di Doyle. Così, incurante dell’avviso, scavalco la sbarra e giungo a uno slargo sul fondo del quale sorge la costruzione di mattoni rossi, con i vetri delle grandi finestre in frantumi e la vegetazione che l’assedia. Mi torna in mente il titolo di uno dei racconti più noti e belli della saga di Sherlock Holmes: La casa vuota. Sembra quasi che Doyle, con quel titolo, abbia segnato il destino di questa abitazione. L’emozione, per un attimo, mi paralizza. Nonostante lo stato di abbandono, la villa respira di vita propria. Sento intorno lo spirito di Doyle. Colgo la pace di questo luogo, incastonato ancora nei resti di un rigoglioso bosco che doveva garantire serenità e aria salubre alla moglie Louise ammalata di tubercolosi. E mi par quasi di vedere, al di là delle finestre, il viso florido e baffuto di Doyle chino sulla scrivania, intento a terminare La maledizione dei Baskerville, il romanzo con cui tentò di placare le proteste dei lettori, inferociti per l’epilogo del racconto Il problema finale nel quale uccise Holmes, facendolo precipitare nel baratro di Reichenbach avvinghiato al suo acerrimo nemico Moriarty. E udendo dei passi alle mie spalle immagino che sia il postino di Hindhead che ogni giorno, più volte al giorno, arrivava fin qui per consegnare le missive dei lettori delusi e arrabbiati che, non risparmiandogli ingiurie, supplicavano Doyle di riportare in vita l’investigatore di Baker Street. Nella realtà, invece, si tratta soltanto di un passante che, senza degnarmi di uno sguardo e senza oltrepassare la sbarra, si inoltra nel bosco. È senza dubbio qualcuno del luogo. E mi domando cosa pensi, lui, di questa vecchia e cadente villa. Penserà anche lui che questa casa, per quanto breve sia stato il soggiorno dello scrittore scozzese, rappresenti la summa di tutta la sua vita e di quella delle sue creature letterarie, Sherlock Holmes in primis. Perché è tra queste mura che Doyle tentò di dare sollievo alle sofferenze della moglie, scrisse alcuni dei suoi più importanti capolavori, vide crescere i suoi figli, provò sulla sua pelle l’amore e l’odio dei lettori, visse i primi momenti domestici con quella che sarebbe diventata la sua seconda moglie, miss Jean Leckie, ricevette le visite di scrittori e intellettuali; e ancora qui apprese del conferimento del titolo di baronetto. Insomma, qui, e non altrove, abita tuttora lo spirito di Doyle, della sua opera, dei suoi personaggi.
Nulla di cui pentirsi – L’idea di staccarmi da questo luogo mi pesa. Mi sembra addirittura impossibile. Tuttavia si è fatto tardi. Chi mi accompagna ha già sopportato a sufficienza le mie manie e le mie fissazioni. E poi sto violando la legge e forse è meglio filarsela via prima di andare incontro a qualche fastidio. Eppure sento che Doyle non mi sta rimproverando per essere penetrato in una proprietà privata. Perché è esattamente ciò che avrebbe fatto lui, che non si arrestava mai di fronte a nulla. A costo di scontri e polemiche forti, sanguigne. E sento che anche Sherlock Holmes approva. Perché lui, difensore della legge, era disposto a commettere un piccolo reato se ciò era funzionale a far trionfare la giustizia. E dunque non ho nulla di cui pentirmi. Mi godo ancora per qualche istante lo spettacolo di questa costruzione particolare, unica nel suo genere. Ne assorbo tutte le sensazioni che emana. E prima di allontanarmi, questa volta, ne catturo un’immagine con la macchina fotografica. Sperando, in futuro, di tornare a visitarla alla “luce del sole” perché diventata, finalmente, quel monumento nazionale che merita di essere.
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Nato a Siena nel 1964, vive a Prato dall’età di quattro anni. Prima cronista sindacale e politico per diverse testate, poi direttore di un settimanale economico locale, oggi lavora in un ufficio stampa istituzionale. A trent’anni la riscoperta di Sherlock Holmes: la particolarità del personaggi, una concezione del mondo e della vita, l’epoca storica in cui si svolgono i fatti lo affascinano al punto che, quando incontra “Uno studio in Holmes”, l’associazione degli scherlockiani italiani, non può che lasciarsi coinvolgere. Sulla rivista dell’associazione, “The Strand Magazine”, di cui oggi è direttore responsabile, ha pubblicato quattro racconti. Il palio di Sherlock Holmes è il suo primo romanzo.
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