03/01/2014
Via via che passano i giorni mi rendo conto che, a voler essere pignoli, dovrei stilare un lunghissimo elenco di strade, edifici e luoghi ai quali associare un ben più corposo elenco delle avventure vissute da Sherlock Holmes e il dottor Watson. E sempre più, sebbene lo avessi ben chiaro dopo tante letture e riletture, mi rendo conto che Londra è il terzo – ma non saprei dire se per ordine di importanza – personaggio fondamentale del Canone (i 4 romanzi e 56 racconti di Arthur Conan Doyle). Non la si trova mai descritta con minuzia nelle storie narrate da Watson. Non importava, del resto. La gran parte dei lettori conosceva bene di cosa stesse parlando. E coloro che a Londra non vivevano, o non c’erano mai stati, si accontentavano di sapere che era una grande metropoli: la grande capitale dell’Impero o, come afferma Watson nelle pagine iniziali di Uno studio in rosso, il “grande immondezzaio dove tutti gli sfaccendati e i fannulloni dell’Impero si riversano irresistibilmente”. E Londra era nebbia, zoccolio di cavalli, rotolare rumoroso di ruote sul selciato, fumo di ciminiere, suoni acuti di fischi dei poliziotti, lo sciacquio dei battelli sul Tamigi, fango tipico dei quartieri più poveri, gli straccioni dell’East End. Ed era luoghi tutt’oggi identici ad allora: Charing Cross, Trafalgar Square, la piazza di Soho, Bond Street, Oxford Street, la Victoria Station, Waterloo Station, il Blackfriers Bridge, il British Museum, lo Strand…
Una strada da copertina – Ecco, un luogo che non posso non richiamare è The Strand, una strada elegante della Londra vittoriana, resa immortale nell’immaginario di tante persone perché uno scorcio di essa è apparsa per decenni sulla copertina di The Strand Magazine, la rivista mensile che a partire dal 1891 pubblicò la stragrande maggioranza dei racconti brevi della saga di Holmes. C’è un punto, in effetti, dove si intravede la stessa immagine: un tratto di strada sul cui sfondo appare una chiesa bianca. E poi, le avventure che contengono almeno un richiamo a questa strada piena di teatri, hotel e negozi sono davvero tante. È uno dei cuori pulsanti del Canone. È in un albergo anonimo di questa via che il Watson fresco di congedo ha preso alloggio prima di conoscere Holmes. E anni dopo, seguendo le precise istruzioni del detective, il buon dottore, di primo mattino, salterà giù da una carrozza e si infilerà all’imbocco della Lowther Arcade, che affaccia proprio sullo Strand, per poi raggiungere in calesse Victoria Station, perché è così che Holmes sperava di confondere gli uomini di Moriarty che gli stavano dando la caccia (vedi il racconto Il problema finale). Le vedo scorrere davanti ai miei occhi, le immagini descritte da Watson, come se stessi vedendo un film messo in scena soltanto per me. È una sensazione bellissima. Come vivere un’avventura che non si potrà più dimenticare. E fatti pochi passi, ecco che prendono forza altre emozioni. La facciata elegante e imponente del Savoy Hotel, del resto, mi fa sobbalzare. È in una delle sue costose e comode stanze che soggiornò William Gillette, l’attore americano che portò in teatro il detective di Baker Street con enorme successo. Da qui Gillette scriveva a Doyle e lo scrittore scozzese qui indirizzava le sue lettere all’attore-regista americano. Sì, camminare sullo Strand è un po’ come vivere in un racconto di Doyle. Una sensazione forte che mi accompagnerà per giorni.
Queen Ann Street – Altro luogo alla cui attrattiva emotiva non ho saputo resistere è fare una passeggiata in Queen Ann Street. È un atto di omaggio che intendo rivolgere al dottor John H. Watson, perché so perfettamente che senza la sua presenza a fianco di Holmes, senza la sua pazienza, senza la sua smisurata amicizia non avremmo mai potuto leggere le avventure del detective londinese. Senza la sua penna il genio di Sherlock Holmes non avrebbe resistito al trascorrere inarrestabile del tempo. Non c’è nome che resti scolpito sulla pietra imperitura della Storia senza l’esistenza di un biografo che assuma sulle proprie spalle il compito di tramandarlo ai posteri. Non sarà stato geniale Watson. Avrà faticato ad apprendere e mettere in pratica, senza quasi mai riuscirci, i metodi di Holmes. Ma è indubbio che senza di lui l’astro di Holmes, forse, non brillerebbe più da tempo. E dunque eccomi in Queen Ann Street, la strada dove Watson abitò a partire dal 1902 (vedi il racconto Il cliente illustre), ormai quasi alla fine dell’esperienza professionale di Holmes che cessò, ufficialmente, nel 1903 con Il caso dell’uomo carponi. Per l’esattezza mi soffermo davanti al numero 9, che la maggior parte degli studiosi indica essere stato l’indirizzo dell’abitazione dell’inseparabile amico di Holmes. E inseparabili, in effetti, erano rimasti anche dopo che Watson si era stabilito nel cuore del quartiere dei medici. Si scrivevano. Si facevano visita a vicenda. E penso che Watson aveva scelto di vivere in un bel quartiere per affrontare gli anni ultimi anni di lavoro e gli anni tranquilli della pensione. Vicino alla vivace Oxford Street, a due passi dall’elegante Cavendish Square e dal Langham Hotel, citato in ben tre racconti del Canone (Uno scandalo in Boemia, Il segno dei quattro e La scomparsa di Lady Frances Carfax). Prima di andarmene, non posso che indirizzare un saluto pieno di ammirazione e di gratitudine verso le finestre del n. 9. Chissà, magari da dietro uno di quei vetri colpiti in pieno dai raggi del sole il buon dottore mi osserva e il mio saluto, lo spero, gli giunge gradito.
Il fascino di Londra – Già Watson diceva che Londra esercitava un richiamo irresistibile sui cittadini dell’Impero. E in questo pellegrinaggio holmesiano – ma anche turistico classico per non deludere le aspettative di mia moglie e delle mie figlie – mi rendo conto che irresistibile, il richiamo di Londra, lo è tutt’oggi. Irresistibile per i turisti, visto il loro numero impressionante. E irresistibile per chi arriva dalle ex colonie e anche da fuori di esse in cerca di un lavoro, di una speranza, di una vita nuova. Londra esercita un fascino potente e sottile e fagocita tutti. Offre opportunità e, al tempo stesso, false illusioni. Esattamente come all’epoca di Sherlock Holmes. Con un caos che oggi puzza di benzina bruciata e risuona dei motori delle automobili e degli autobus, come allora puzzava del fumo delle ciminiere e dei rifiuti e risuonava dei rimbombi degli zoccoli e delle ruote delle carrozze. Con la City che continua a mostrare un volto elegante e nobile e l’East End che, nonostante ristrutturazioni e recuperi edilizi è ancora ricettacolo di immigrazione, povertà, crimine. Londra che palpita nel XXI secolo, eppure immutabile. Con una sola differenza: da quando è in pensione nel Sussex, non c’è più Sherlock Holmes a vegliare sulla città e i suoi abitanti.
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Nato a Siena nel 1964, vive a Prato dall’età di quattro anni. Prima cronista sindacale e politico per diverse testate, poi direttore di un settimanale economico locale, oggi lavora in un ufficio stampa istituzionale. A trent’anni la riscoperta di Sherlock Holmes: la particolarità del personaggi, una concezione del mondo e della vita, l’epoca storica in cui si svolgono i fatti lo affascinano al punto che, quando incontra “Uno studio in Holmes”, l’associazione degli scherlockiani italiani, non può che lasciarsi coinvolgere. Sulla rivista dell’associazione, “The Strand Magazine”, di cui oggi è direttore responsabile, ha pubblicato quattro racconti. Il palio di Sherlock Holmes è il suo primo romanzo.
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