Sulle tracce di Holmes e Doyle. 1-Il “buen ritiro” e le api inesistenti

Luca Martinelli

21/10/2013

Dopo tante partenze progettate e mai avvenute, la scorsa estate, finalmente, ho coronato il sogno di visitare l’Inghilterra. Lo covavo da così tanto tempo da aver assunto la forma di un miraggio. Tutta colpa della mia passione per Sherlock Holmes, che lo aveva alimentato fino a farlo diventare un’ossessione. E via via che continuavo a scrivere racconti, romanzi e articoli che narravano le gesta del geniale detective londinese, avevo cominciato a temere di essere condannato alla stessa maledizione cui fu assoggettato Emilio Salgari: scrivere nel chiuso della propria casa senza mai poter vedere i luoghi frequentati dai personaggi. Mi rendo conto che il paragone può suonare altisonante e fuori luogo. Salgari aveva creato dei personaggi suoi. Io, invece, li ho semplicemente ereditati da Arthur Conan Doyle. Tuttavia li ho rivitalizzati, dandone una mia interpretazione, facendoli interagire con personaggi che ho creato in autonomia e facendoli muovere in luoghi che spesso non sono quelli citati dall’autore scozzese. Ecco perché desideravo questo viaggio. Volevo visitare Londra, la città per eccellenza delle storie di Sherlock Holmes, ma soprattutto volevo tentare di seguire, nei limiti del possibile, le tracce che il detective e il suo creatore hanno lasciato in altri angoli dell’Inghilterra. Un viaggio che, nei miei propositi, rappresentava non solo la ricerca di luoghi e situazioni ma anche e prima di tutto il segno delle emozioni che quei luoghi e quelle situazioni avrebbero saputo evocare. Sono partito per questa “strana” meta alla fine di luglio. Affronto il viaggio in camper, un piccolo Volkswagen California, con famiglia al seguito. E moglie e figlie, ovviamente e giustamente, sperano di riuscire a vedere anche qualcosa che vada al di là di Sherlock Holmes. Per questo è stato un viaggio che non ha seguito un ordine cronologico o prestabilito. È stato più un girovagare tra luoghi e monumenti che mi hanno portato anche laddove ancora alita lo spirito di Holmes, di Watson e di Doyle.

Il “buen ritiro” di Holmes - Le prime due giornate sul suolo di Albione sono corse via in uno zigzagare tra la costa e le verdi colline del Kent e dell’East Sussex. Il primo giorno in un alternarsi di cieli azzurri e grigi, il secondo sotto una pioggia insistente ma sopportabile. Sul taccuino appunto la sosta nel meraviglioso borgo medievale di Rye (dove per molti anni, fino alla morte, visse lo scrittore Henry James) e poi quelle nella storica Hastings, nella cittadina di Bexhill, e quella di Pevensey Bay. Il terzo giorno – è il 31 luglio – mi ritrovo proiettato direttamente dentro alle pagine di Doyle. Il cielo è grigio piombo. Il vento, fino ad oggi una fresca brezza, è aumentato. A tratti ulula. E piove. Una pioggia fine fine. Densa. Un muro sospeso di goccioline che infradiciano tutto. Che rende inutile avere un ombrello. Che rende difficile camminare. È una di quelle giornate tetre che, in assenza di casi da sbrogliare, riduce Sherlock Holmes a uno straccio. Acuisce la sua indole cupa che lo trascina nella depressione e, nella prima parte della sua vita, a cercare un rifugio effimero nel consumo di cocaina. Ma sento che posso guardare le cose anche al contrario. Perché so che è anche una di quelle giornate tetre in cui, alla fine di un’indagine complessa, rifulgerà la luce del genio di Holmes. Per questo non rinuncio a mettermi in moto. Lungo la strada costiera dell’East Sussex spiagge di sabbia gialla e bianche scogliere si alternano offrendo scorci di panorama mozzafiato. Ed eccolo Eastbourne, un piccolo borgo di mare. Un tempo un semplice porticciolo di pescatori. Oggi una meta turistica per la stagione di mare. Ma senza fronzoli, senza luccichii. Una meta da famiglie in cerca di pace e di relax. La stessa pace e lo stesso relax che Sherlock Holmes cercò in questa zona nel 1903, quando decise di ritirarsi dalle scene e abbandonò la famosa casa al 221b di Baker Street a Londra. Doyle, nella prefazione al racconto “Il suo ultimo saluto”, scrisse che Holmes si era ritirato in una piccola fattoria sulle colline a cinque miglia da Eastbourne per allevare api e studiare filosofia. Quale sia stato il “buen ritiro” di Holmes, in realtà, è impossibile da sapere. La Sherlock Holmes Society of London lo indica in una vecchia fattoria nel villaggio di East Dean (nella foto reperita in rete). È un’ipotesi suggestiva, ma solo un’ipotesi. E lo confesso, non mi interessa, in questo caso, vedere o toccare le pietre di una casa che potrebbero aver offerto riparo al mio eroe preferito. Perché sento che su questa zona – l’intera zona da Eastbourne fino a queste colline – aleggia comunque, vivida e forte, la presenza di Holmes.

Le api inesistenti – Semmai, vorrei rintracciare le arnie a cui Holmes dedicò tanta cura, tanta attenzione e tanto studio, fino a scrivere una monografia sull’argomento: Guida pratica all'allevamento delle api con alcune osservazioni sulla segregazione della regina (ancora una volta la fonte è il racconto “Il suo ultimo saluto”). Le condizioni del tempo però sono infami. Nonostante il verde delle colline e della gran massa di fiori che adornano i giardini dei cottage, il grigiore della giornata, che stempera qualsiasi colore, fa addirittura dubitare che le api abbiamo mai frequentato – e tutt’oggi frequentino – questi luoghi. Inesistite e inesistenti. Ma è solo una suggestione, è ovvio. Se Holmes ha affermato di aver allevato api su queste colline, non si può non credergli. La sua parola, almeno per me, è sacra. E poi c’è un luogo che sancisce che qui il detective ha vissuto davvero. Quale motivo ci sarebbe altrimenti di aver chiamato questa collina Holmes Hill? Resta un solo rammarico: non aver potuto scattare nemmeno una fotografia. Non che non ci abbia provato, beninteso. Ma davvero, le condizioni erano tali che l’unico scatto che sono riuscito a fare non ha alcun senso. Tuttavia non avrò rimpianti. I viaggiatori dell’Ottocento, Holmes compreso, non avevano macchine fotografiche da portarsi appresso. Il ricordo era ciò che riuscivano a catturare con gli occhi e soprattutto con il cuore. E le emozioni che riuscivano a trasferire sulle pagine dei loro taccuini e dei loro diari. E a me, di questa visita a Eastbourne e dintorni, resterà un ricordo indelebile.
 

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Luca Martinelli

Luca Martinelli

Nato a Siena nel 1964, vive a Prato dall’età di quattro anni. Prima cronista sindacale e politico per diverse testate, poi direttore di un settimanale economico locale, oggi lavora in un ufficio stampa istituzionale. A trent’anni la riscoperta di Sherlock Holmes: la particolarità del personaggi, una concezione del mondo e della vita, l’epoca storica in cui si svolgono i fatti lo affascinano al punto che, quando incontra “Uno studio in Holmes”, l’associazione degli scherlockiani italiani, non può che lasciarsi coinvolgere. Sulla rivista dell’associazione, “The Strand Magazine”, di cui oggi è direttore responsabile, ha pubblicato quattro racconti. Il palio di Sherlock Holmes è il suo primo romanzo.

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