Sono tornato per te. L’amore che vince la morte

Luigi Oliveto

16/11/2023

Si attribuisce a Confucio l’aforisma secondo cui l’amore eterno dura tre mesi. In effetti le statistiche non potrebbero che confermare l’impietosa sentenza del filosofo. Ma nemmeno possono dimenticarsi le storie di amori imperituri che in ogni tempo – perfino nel nostro, dove pure i sentimenti soffrono di respiro corto – hanno fatto dell’amore una tenace (talvolta eroica) ragione di vita. A queste storie deve aver pensato Lorenzo Marone nel concepire il suo romanzo “Sono tornato per te” (Einaudi Stile Libero). Ciò che vi si racconta è un amore al tempo della seconda guerra mondiale che vede protagonisti Cono Trezza e Serenella Pinto, due ragazzi del Sud, cresciuti in un paese del Vallo di Diano, tra Campania e Basilicata. Si incontrano la prima volta al mercato, in “uno di quei giorni di fine inverno nei quali la nebbia ferma le cose, uno di quelli che portano stravolgimenti nell’esistenza di un uomo”; ed è quel “giorno che Cono Trezza, di appena sedici anni, avrebbe ricordato per il resto della vita”. Lui, di famiglia contadina, è al mercato a vendere frutta e ortaggi. Lei, figlia di un artigiano socialista, a fare acquisti. Nasce così un amore, ma nasce in tempi difficili. Siamo nel 1936. C’è il fascismo, verso il quale la famiglia Trezza nutre una tacita antipatia. Un antifascismo sotto traccia, almeno fino a quando Cono, stanco di certa arroganza, non si scontra con il figlio del podestà, gesto che gli costerà caro. Il ragazzo dovrà poi partire per il servizio militare, e dopo l’8 settembre sarà deportato in Germania. Nel campo di concentramento riuscirà a sopravvivere grazie alla sua abilità nel boxare, alla generosità di un compagno di prigionia (personaggio davvero toccante) e, soprattutto, grazie al pensiero di Serenella che lui vuole assolutamente sposare. Il libro si apre proprio con la scena di un incontro di pugilato tra Cono e una guardia nazista, perché “fu il pugilato lo sport più praticato nei campi di concentramento. Piaceva al Führer, alle guardie naziste che scommettevano sugli incontri, ai kapò che obbligavano i prigionieri a combattere di notte”. Cono dunque sfida a pugni l’orrore, gli aguzzini, la morte. Lo fa pensando alla propria famiglia, a Serenella che lo aspetta: “Per tutti loro avrebbe resistito, e per lei un giorno sarebbe tornato”. È una vicenda intensa, commovente, in cui l’amore coincide con la vita, vincendo sulla efferatezza e sulla morte.
 
***
 
Era uno di quei giorni di fine inverno nei quali la nebbia ferma le cose, uno di quelli che portano stravolgimenti nell’esistenza di un uomo, il giorno che Cono Trezza, di appena sedici anni, avrebbe ricordato per il resto della vita.
Sul Vallo s’erano posate nuvole cariche d’umidità, dei campi si vedevano solo i primi filari, le strade di campagna sparivano silenziose dietro una curva, tagliavano i poderi, dalle fattorie salivano i versi degli animali, un debole abbaio, il canto incerto di un gallo. La pioggia pareva a un passo, e le finestre delle case erano velate di un grigio sporco. Nello sguardo la gente portava la stanchezza d’una stagione quanto mai lunga e fredda.
Il sabato mattina Cono aveva il compito di vendere frutta e ortaggi in paese. Monte Rianu era un ciuffo di case a ridosso del fiume Tanagro, abbarbicato sulle pendici del Lagno, com’era chiamato il Vallo di Diano, una piana acquitrinosa nel Sud della Campania, al confine con la Basilicata. Lasciò la bici contro il muretto di pietra per chiamare la signora Ada che stava alla finestra a recitare un’Ave Maria, lei lo vide e corse fuori a prendere il paniere. Un micio grigio zampettò silenzioso tra le ruote della bicicletta cercando da lui il cibo che non trovava nei dintorni.
Cono aveva ancora le spalle rivolte alla strada quando una voce radiosa e gentile lo fece sobbalzare: – Buongiorno.
Si girò di scatto, mentre il gatto si rintanava in un angolo, e si perse dentro il più bello degli spettacoli, in un volto che bucava la foschia, e che forse lui conosceva già, ma che non riuscì a mettere a fuoco subito per intero, perché in quel momento non aveva occhi che per gli occhi di lei. Cadde nel suo sguardo come in un abisso, e capì subito che non ne sarebbe più uscito. Sfilò la coppola dalla testa e, pieno d’imbarazzo, indietreggiò d’un passo finendo con la schiena contro una serranda aperta per metà. Lei allora scoppiò a ridere.
[…]
– Buongiorno, signorina, – Cono riuscì infine a rispondere, dopo che la ragazza ebbe smesso di ridere.
– Ciao, – rispose lei, – ti vedo sempre il sabato sulla bici. Vendi la verdura, vero? Avresti un po’ di lattuga?
Lui non ebbe la prontezza di replicare subito, incespicò con le parole, che non erano il suo forte, abbozzò una domanda e delle scuse, perché l’insalata no, non l’aveva, ma sarebbe andato a prenderla al podere, nel caso, e si mise a strofinare il palmo delle mani sui pantaloni per asciugare il sudore. Lei parve divertita, restò a fissarlo da qualche metro, senza vergogna, senza correre via con lo sguardo. Fu invece Cono a farlo, intimorito posò gli occhi sulla sua bicicletta adagiata contro il muretto, non sapendo dove nascondersi; lei sembrava una dea, una sacerdotessa, o forse una fattucchiera, che con un incantesimo gli aveva ingarbugliato la lingua e il corpo, tanto che non era più capace di parlare né di muoversi. I suoi lunghi capelli ricci erano una massa scura sul punto d’esplodere, guardarli era una festa. Nei suoi occhi neri ci si smarriva, la sua pelle assumeva nelle pieghe il colore dell’ebano, e sul viso sfumava in tinte auree; solo a vederla, faceva venire in mente l’estate! Sul viso fiero aveva l’audacia tipica dei maschi. Avrebbe poi imparato di lei che era una ragazza spigliata e intelligente.
«Socialista», non avrebbe mancato di sottolineare, e con un certo orgoglio, sua nonna Erminia.
Quando Cono riuscì a scacciare la timidezza, la invitò a sedersi con lui su un muretto lì vicino, e insieme chiacchierarono per l’intera mattinata. Non smisero che all’ora di pranzo, così lui tornò a casa senza aver venduto un solo cesto e subì in silenzio, ma col cuore rallegrato, la ramanzina del padre.
Era una mattina di fine marzo del ’36 quella in cui Cono Trezza conobbe Serenella Pinto, che di anni ne aveva appena compiuti quindici, la ragazza che avrebbe amato da lì in avanti, per il resto dei suoi giorni.
 
[da Sono tornato per te di Lorenzo Marone, Einaudi Stile Libero, 2023]
 
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Luigi Oliveto

Luigi Oliveto

Giornalista, scrittore, saggista. Inizia giovanissimo l’attività pubblicistica su giornali e riviste scrivendo di letteratura, musica, tradizioni popolari. Filoni di interesse su cui, nel corso degli anni, pubblica numerosi libri tra cui: La grazia del dubbio (1990), La festa difficile (2001), Siena d’autore. Guida letteraria della città e delle sue terre (2004), Giosuè Carducci. Una vita da poeta (2011), Giovanni Pascoli. Il poeta delle cose (2012), Il giornale della domenica. Scritti brevi su libri, vita, passioni e altre inezie (2013), Il racconto del vivere. Luoghi, cose e persone nella Toscana di Carlo Cassola (2017). Cura la ristampa del libro di Luigi Sbaragli Claudio Tolomei. Umanista senese del Cinquecento (2016) ed è co-curatore dei volumi dedicati a Mario Luzi: Mi guarda Siena (2002) Toscana Mater (2004),...

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