27/11/2012
Giovanni Pascoli ebbe modo di soggiornare a Siena, per una settimana, nell’agosto del 1862, quale membro di una commissione ministeriale che doveva assegnare alcune borse di studio. Prese stanza all’Albergo dell’Aquila Nera. In quella camera avrebbe poi completato la poesia, abbozzata durante il viaggio, intitolata “A Maria che l’accompagnò alla stazione” in cui esprime alla sorella commozione nel rivederla sola sul marciapiede della stazione mentre il treno si allontanava. L’immagine della sorella si trasfigura in quella della madre e nei ricordi giovanili del poeta: “Non sono io forse il piccolo Giovanni / che sua mamma accompagna alla stazione? / Essa gli ha messo in ordine i suoi panni, / i suoi colletti, le camicie buone”.
Dalla città del Palio furono spedite diverse lettere all’indirizzo delle sorelle. In una si diceva: “Sono andato a spasso, per Siena: bellissimi edifizi, bellissimo il Duomo”, però tiene a precisare che “io non vi starei nemmeno dipinto; a me piace l’aria e la campagna”. Insiste su questa dicotomia città/campagna: “Siena è veramente bella e ve la descriverò a voce. Non vi aspettate però gli entusiasmi: io non mi commuovo veramente se non avanti le bellezze naturali. Un albero per me val di più della torre del Mangia e del campanil di Giotto”. In seguito sarà proprio la sorella Maria a ricordare che “le impressioni poetiche, specialmente del Duomo di Siena, rimasero appuntate nel suo taccuino perché allora non ebbe tempo di tradurle in versi, e dopo avrebbe avuto bisogno di rivedere quei luoghi per riprovare le medesime sensazioni”. Accadde, infatti, che due anni dopo, nell’agosto 1894, il professor Pascoli avrebbe voluto tornare a Siena per un analogo incarico ministeriale. Ma la nomina non arrivò, tant’è che, piuttosto risentito, scriverà a Severino Ferroni: “Siena è un nome che mi fa sussultare. […] Avevo appuntato e nella carta e nel cuore tante delicatissime sensazioni poetiche, e quest’anno riprovandole le avrei dischiuse come fiori al sole. Il sangue si accelera nelle vene e mi si diffonde una grande dolcezza in tutto l’essere”.
Tuttavia esiste un indiretto omaggio poetico del Pascoli a Siena. Il poeta ebbe come collega al liceo di Livorno il professore Giuseppe Martinozzi e, come allievo, il figlio di lui, Mario, che pubblicò varie e mediocri raccolte di versi sotto lo pseudonimo di Mario da Siena. Pascoli, pressato dai due e controvoglia, intorno al 1894-95, tradusse in distici latini un componimento di Mario, intitolato “Torre di Comune” che alludeva chiaramente alla Torre del Mangia e che recitava: “Ne l’azzurro purissimo s’innalza / come stecco di pietra la gran torre; / guardan le lupe dall’estrema balza: // guardan le lungi gialleggianti forre, / guardano i tetti che la sera incalza, / guardano l’Arbia che lontano scorre. // Il tedio oscura l’iridi di pietra: / più non vedon le glorie della Lupa, / non gli stendardi sventolanti all’etra. // Vigila al ciel la vecchia torre cupa”.
Articolo pubblicato su Il Corriere di Siena di domenica 25 novembre
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Giornalista, scrittore, saggista. Inizia giovanissimo l’attività pubblicistica su giornali e riviste scrivendo di letteratura, musica, tradizioni popolari. Filoni di interesse su cui, nel corso degli anni, pubblica numerosi libri tra cui: La grazia del dubbio (1990), La festa difficile (2001), Siena d’autore. Guida letteraria della città e delle sue terre (2004), Giosuè Carducci. Una vita da poeta (2011), Giovanni Pascoli. Il poeta delle cose (2012), Il giornale della domenica. Scritti brevi su libri, vita, passioni e altre inezie (2013), Il racconto del vivere. Luoghi, cose e persone nella Toscana di Carlo Cassola (2017). Cura la ristampa del libro di Luigi Sbaragli Claudio Tolomei. Umanista senese del Cinquecento (2016) ed è co-curatore dei volumi dedicati a Mario Luzi: Mi guarda Siena (2002) Toscana Mater (2004),...
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