Siena e quel muro di silenzi che avvolge la politica. Finalmente rotto

Michele Taddei

20/09/2017

In una sala san Pio al Santa Maria della Scala di tanti anni fa Giampaolo Pansa disse che “in ogni città ci sono persone che non si può non conoscere. A Siena una di quelle è Gianni Resti”. L’occasione era la presentazione del suo libro “In punta di piedi” e il giornalista e scrittore si era appassionato così tanto che comprò una casa in centro e scelse di viverci per qualche tempo. Eravamo alla fine del Novecento, a quell’epoca la Città sembrava tornata la capitale d’un tempo, autosufficiente e indipendente. La Banca che faceva acquisti di altri istituti di credito (Agricola Mantovana prima e Banca 121 poi), la neonata Fondazione che, sostituendosi al vecchio istituto di diritto pubblico trasformato in società per azioni, erogava contributi ogni anno sempre più milionari, l’immagine di “Buongoverno” che riuscivano a trasmettere in Italia le sue istituzioni pubbliche, Comune ma anche Università.

Gianni Resti già all’epoca veniva da lontano (e sarebbe andato ancora più lontano), conosceva i protagonisti di quella stagione e nessuno meglio di lui dunque poteva raccontare Siena e il suo territorio. Per anni aveva ricoperto incarichi nel partito e nelle istituzioni. Anzi, in una sola, la Provincia di piazza Duomo, dove giovanissimo era stato eletto consigliere nel 1980, confermato e nominato assessore alla cultura nel 1985 e nuovamente confermato nel 1990. Un osservatorio privilegiato che gli permetteva di vedere prima e meglio degli altri. Ma Resti era allora (ed è ancora) un politico e amministratore pur sempre sui generis. Sebbene abbia fatto politica tanti anni non ha mai avuto bisogno di farla, sin da giovane un lavoro che amava l’aveva, il maestro prima e il professore poi, e in più non aveva paura delle proprie idee che tenacemente perseguiva. Il contrario di chi vuole fare carriera e si guarda bene dall’averne, limitandosi casomai a seguire la corrente, allinearsi alla maggioranza, seguire il capo bastone ed eseguire le direttive. In attesa di una meritata promozione.
[…]
Il libro non è solo elenco di date e incontri né rivelazione di chissà quali retroscena più o meno significativi. Rimarrà pertanto deluso chi cerca episodi per il banale chiacchiericcio politico. La vera novità, a mio parere, sta proprio in questo. Un esponente centrale di una lunga fase politica che abbraccia quasi quarant’anni racconta dal di dentro quella comunità di donne e uomini che vantava una “diversità” che si richiamava a Enrico Berlinguer. E finisce così per svelare i meccanismi, le scelte politiche e persino alcune carriere, permettendo a noi, oggi, di capire meglio. Si rompe, insomma, quel muro di silenzio che per decenni ha avvolto a Siena il partito per antonomasia, Pci prima poi Pds, Ds e infine Pd. Pratica, peraltro, in uso anche negli ambienti ex Dc confluiti nella Margherita, cui milita per qualche tempo lo stesso Resti.

Silenzio assunto come prassi politica. Calava il silenzio di fronte al dissenso manifestato così da isolarne i protagonisti, certe scelte poco felici cadevano nel silenzio generale così da non risalire facilmente ai responsabili, si faceva un gran silenzio intorno alla caduta di certe figure magari scomode sebbene, scrive Resti, quel silenzio finisse per essere fin troppo “chiacchierato”. Ossimoro che spiega tutto. E di fronte a quel mutismo di facciata ognuno era libero di dare la propria interpretazione, magari con qualche bisbiglio volato di bocca in bocca. Silenzio di cui lo stesso Gianni Resti rimane vittima, e chissà quanti altri, al tempo del primo licenziamento dall’incarico di assessore alla cultura. E c’è perfino chi all’epoca arriva ad ipotizzare che sarebbe stato allontanato per aver rubato! Nel silenzio, anche la voce più stolta trova asilo.

Il silenzio finisce così per coprire tutto e contagiare ognuno e ancora oggi è duro da sconfiggere. Persino di fronte al clamore dei fatti di cronaca di questi ultimi anni, dai dissesti finanziari di Università, Comune, Banca e Fondazione alle inchieste della Magistratura, l’opinione pubblica è sembrata non reagire, immobile e rassegnata se n’è rimasta muta. “Ho sentito il dovere di rompere il silenzio che politicamente continuava ad avvolgere Siena e l’urgenza di manifestare la mia indignazione verso il sistema di corruttela che ha saccheggiato la mia città”, scrive Resti.

La speranza allora è che questa lettura induca altri protagonisti di quella stagione a squarciare definitivamente quel velo ipocrita fatto di silenzi che continua ad avvolgere la storia recente della città. Per colmare, come scrive Pier Paolo Pasolini quel “buco nero della conoscenza negata al popolo”. Mancano tanti tasselli da mettere in ordine e poi, finalmente, potremo “inchiodare colpevoli e criminali al grande tribunale della storia”.

Tratto dalla introduzione al libro. Per gentile concessione dell'editore
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Michele Taddei

Michele Taddei, giornalista, si occupa di comunicazione pubblica, socio fondatore di Agenziaimpress e Primamedia. Ha pubblicato “Siamo onesti! Bettino Ricasoli. Il barone che volle l’unità d’Italia” (Mauro Pagliai editore, 2010), "Scandalosa Siena" (Edizioni Cantagalli, 2013), "Cuore di Giglio" (De Ferrari editore, 2016), Siena bella addormentata (Primamedia editore, 2018), "Steppa...

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