Self-Portrait. Melania G. Mazzucco e il museo del mondo delle donne

Marialuisa Bianchi

31/01/2023

Melania Mazzucco - che ci ha incantato con le sue storie di donne, spesso artiste come Marietta, figlia del Tintoretto ne “La Lunga attesa dell’Angelo” o Plautilla Bricci la prima architettrice - torna a parlare di arte pura, in particolare di pittrici e fotografe.  Nel libro “Self-Portrait. Il museo del mondo delle donne” (Einaudi), fra storia dell’arte e narrazione, segue il modello utilizzato nel 2014 per “Il museo del mondo”, ovvero un viaggio tra i capolavori degli artisti, ponendo in rilievo le opere che l’hanno affascinata e non le più famose: in un’intervista dichiara che alla fine del lavoro si era accorta che fra i cinquantadue nomi che aveva selezionato, solo tre erano di donne. Per risarcire di questa omissione ha lavorato a un nuovo volume in cui l’oggetto dell’inchiesta è proprio il mondo femminile, con una ulteriore connotazione. Ovvero, prendere in considerazione solo opere il cui soggetto sia declinato al femminile. Un lavoro frutto di lunghe ricerche, come ci ha abituato l’autrice, che non inventa, ma ci fa ugualmente sognare. L’autrice con queste pittrici e le loro storie affascina e cattura noi lettori, indirizzandoci a guardare con altri occhi e riempiendo il grande vuoto delle artiste nei secoli fino ai nostri giorni, a dimostrare comunque che la pittura e la letteratura sono molto legate e intrecciare questi universi è la grande forza di Melania Mazzucco.
 
Delle 36 opere sono rimasta affascinata da “Kisette” di Tamara de Lempicka: la bambina più volte ritratta è sua figlia, e non ha nulla di lezioso o infantile, molto armoniosa nel disegno ed esperta nella posa. Un taglio alla garçonne modernissimo e un abitino alla moda. Nessuno sa che si tratta di sua figlia per non dover svelare l’età; molti la ritengono un uomo, poi un idolo. Lei si vede libera, sfrontata come appare nell’autoritratto Nella Bugatti verde del 1928, truccata, elegantissima. Kisette, settantenne nel 1986, scriverà nelle memorie inveendo contro la Tamara che non aveva saputo essere una madre, a cui però lei aveva sempre chiesto soldi e solo soldi. Col rancore verso la madre che aveva preferito sempre e solo il lavoro a lei. 
 
“Comincio qui un viaggio in trentasei tappe fra opere nelle quali la donna è soggetto. Due volte: perché è una donna il soggetto che concepisce e realizza di sua propria mano il quadro, e perché è una donna anche il soggetto dell’opera. Pongo all’ingresso di questa personalissima galleria un dipinto del 1664. L’autrice è italiana, anzi bolognese. Si chiamava Elisabetta Sirani […] adulata come Apelle femminile, era ormai famosa oltre le mura di Bologna, e il suo studio, nella casa di via Urbana, era frequentato da granduchi, viceré, principesse ed ex regine, come Cristina di Svezia, di passaggio in città, che volevano veder dipingere quella maga, miracolo del mondo. Lei si prestava volentieri, fiera di offrirsi come eroina dello spettacolo – quasi replicasse col pennello le azioni virili delle donne forti (Giuditta, Dalila, Circe, Cleopatra) che le chiedevano di dipingere. Sarebbe morta all’improvviso”. Il suo nome si vede sulla sedia che costituisce il limite sinistro del quadro. Firmava sempre mentre i suoi colleghi a quel tempo non usavano. Lei rivendicava le sue opere come figli e poi metteva a tacere le voci che divulgavano fosse suo padre l’autore perché, secondo i più, una donna non poteva dipingere così bene. Il pugnale in mano ha appena lacerato la carne della coscia a dimostrare al marito Catone che se può reggere il dolore può tenere segreti. Elisabetta Sirani ama le donne forti. Porzia è stato scelto come manifesto di tutte le artiste-donne, forti eroine a loro modo, che rivendicano il diritto a fare le artiste, evitando lavori domestici e attività donnesche come la tessitura. Ma Elisabetta sapeva fare anche questo e si è occupata del padre malato che non poteva più dipingere né scrivere.
 
Fra le artiste, impossibile enumerarle tutte, compaiono nomi famosi: Frida Kalho, ormai oggetto di un vero e proprio culto o Artemisia Gentileschi, nata alla fine del Cinquecento. Ce ne sono altre poco conosciute, come la francese Louise Bourgeois, nota per la grande scultura “Maman”, ma il quadro scelto è “Femme maison”. Di Carol Rama, invece, ha selezionato un acquerello della serie “Appassionata”. L’unica raccontata da Vasari, ma poco nota oggi, è Plautilla Nelli, l’artista da cui è partita Mazzucco e che le ha casualmente fatto incontrare l’altra Plautilla, la Bricci, “l’architettrice” che nella Roma seicentesca fu la prima donna architetto d’Italia. Di Plautilla Nelli, Vasari dice che avrebbe fatto cose meravigliose se avesse potuto studiare e conoscere il mondo e la natura. Mazzucco rovescia la frase. “Nonostante non avesse potuto studiare, difficoltà ad aggiornarsi e nessuna liberà di muoversi, Nelli possiede cognizioni geometriche, un buon disegno, il dono di combinare i colori. È una maestra insomma”.
 
Un percorso non cronologico, ma tematico, fra artiste che hanno ritratto sé stesse o altre donne, ribellandosi al ruolo marginale imposto e giocando spesso con i ruoli e le maschere. Come se fossero sale di un museo immaginario, appunto noi seguiremo le artiste in queste stanze: nascita e infanzia; adolescenza, giovinezza (Artemisia Gentileschi con Susanna e i Vecchioni). Artemisia rifiutò con coraggio il ruolo di vittima e il diritto all’oblio. Ebbe amanti e mariti, molti figli. A Firenze, la granduchessa Cristina di Lorena la introdusse a corte. La pittrice si specializzò in nudi femminili di stupro morale e fisico (Susanna e Lucrezia); in sante ed eroine forti e peccatrici (Maddalena, Cleopatra). Una volta Artemisia rimandava la consegna di un quadro, il Bagno di Diana, a un principe della famiglia Ruffo e quando fu a buon termine gli scrisse: “Vi farò vedere cosa sa fare una donna”. L’aveva già fatto, conclude Mazzucco.
 
Molte vite giovani e drammatiche, colte presto dalla morte o dalle malattie, ma anche grandi vecchie. Tema forte quello dell‘Aborto: gravidanze sofferte, interrotte e immaginate. In Frida Khalo c’è il suo congedo dalla maternità. Altro tema è l’Erotismo con Georgia O’ Keeffe, che diventò ricca e famosa per i suoi fiori sensuali. Iris nero. Per secoli la pittura di fiori era stata considerata il gradino più basso dell’arte. Invece Giorgia fu osannata da critici e dalle femministe per questi fiori, ma lei si dissociò, forse sottovalutava il potere psichico delle immagini che diventano simboli autonomi. La selezione finisce con una scultura di Giosetta Fioroni, molto significativa perché ci sono lei vecchia e lei bambina, come l’aveva ritratta suo padre, che si tengono per mano. Una visione circolare, quindi eterna, come piace a Mazzucco. Un libro da tenere a portata di mano e leggere ogni tanto, soffermandosi sugli aneddoti e riflessioni, coincidenze e intrecci, per imparare dalla passione di una grande scrittrice a leggere i capolavori figurativi con sguardo nuovo.
 
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Marialuisa Bianchi

Marialuisa Bianchi

Molisana d’origine, si è laureata in storia medievale a Firenze, dove vive. Ha insegnato Italiano e Storia nelle scuole superiori. Ha appena pubblicato per i tipi di Mandragora Storia di Firenze. La preziosa eredità dell’ultima principessa Medici che ha reso grande il destino della città. Precedentemente il romanzo storico Ekaterina, una schiava russa nella Firenze dei Medici e, nel 2021, La promessa di Ekaterina (edizioni End). Ha esordito con un libro...

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