16/01/2013
Gli affreschi che ornano le pareti del Pellegrinaio del Santa Maria della Scala in Siena sono d’ora in poi decodificabili con più consapevole sguardo grazie all’analisi che ne propone Petra Pertici in un volume ricco di approfondimenti saggistici, nuove acquisizioni, curiosanti spigolature su “Siena quattrocentesca” (Protagon Editori): vi si delinea una compiuta rilettura critica delle opere di Lorenzo di Pietro detto il Vecchietta, Domenico di Bartolo e Priamo della Quercia e vengono fornite nuove chiavi interpretative di un ciclo pensato come una lezione che, organicamente scandita per quadri esemplificativi, “racconta – si sottolinea – di religione, cultura, economia, politica, scienza, arte, moda, costumi di vita, civiltà materiale”. E con un’attenzione acuta alla realtà. Il ciclo fu eseguito in un tempo relativamente breve, meno di un quinquennio, tra il 1440 e il 1444, e gli fu assegnata una funzione al tempo stesso dichiarativa e paradigmatica.
Gli affreschi - Vi sono raffigurate tecniche mediche e tipologie di interventi: come nel lorenzettiano “Buongoverno” e nei suoi effetti del Palazzo Pubblico il fervore della vita cittadina viene elevato ad ammonitrice allegoria così qui l’affannosa operosità ospedaliera è sorpresa nei molteplicità gesti che via via assume ed è codificata in funzione pedagogica. Pertici si muove in contemporanea dentro i riquadri elaborati con strepitosa aderenza cronistica, addita confidenzialmente i personaggi più in vista (il condottiero Niccolò Piccinino, il letteratissimo Antonio di Checco Rosso Petrucci, idest, chissà, Gentile Sermini…), spiega minimi dettagli, fa emergere particolari in ombra. La sottolineatura più netta da ritenere è la dipendenza – finora non abbastanza richiamata – di tematiche tratte quasi letteralmente dalla predicazione di san Bernardino. Al punto che in certi casi sembra che l’affresco sia una meticolosa illustrazione di passi pronunciati dallo stizzoso osservante nel corso nei suoi exploits omiletici nel Campo: “Amerai il pellegrino e questo ti comando e fa’ che tu gli porga la mano a vestirlo, a calzarlo, a dargli da mangiare e da bere, a farlo medicare…”: momenti che si squadernano lungo superfici alle quali il restauro ha ridato temperata vivezza.
La Siena quattrocentesca - Ecco una Siena orientaleggiante al tempo del post-Concilio fiorentino, devotamente papalina con Celestino III ed Eugenio IV ed orgogliosamente imperiale con Sigismondo: “i due poli entro cui si muove la repubblica per salvaguardare la propria sopravvivenza”. Nella scena del matrimonio delle fanciulle di Domenico di Bartolo si scorge accanto alla pila dei “gettatelli” un pallido e azzimato giovane tenuto a freno da due uomini: forse un sodomita additato alla berlina. Ben noto è il ricorrente motivo della condanna dell’“abominabile peccato” nelle dure invettive dell’ intollerante Bernardino. Allusioni a severe condanne e incitamenti alla cristiana misericordia stanno così accanto, in una pittura spigliata, dottrinaria non meno che aneddotica. E aiutano non poco a capire un’età pregna di un umanesimo che stava acquisendo un nuovo senso del corpo: da curare con atti che fondevano caritatevole sollecitudine e coscienza scientifica. Affreschi a parte, la ricerca condensata nel libro della Pertici contribuisce a liquidare o ridimensionare luoghi comuni che si sono accumulati anche grazie all’impostazione seguita da Sigismondo Tizio, ispirato dai Borghesi e dai Piccolomini: così la “visione legittimistica” che ne scaturisce – osserva Riccardo Fubini nella plaudente introduzione – , ripresa dal Malavolti, ha finito per mettere in ombra la reale portata del ruolo dei Petrucci: un gruppo patrizio che puntava allo smantellamento dell’anacronistico regime dei Monti e a favorire la costituzione di un governo aristocratico “a forte connotazione ghibellina”, in grado di assicurare a Siena buone relazioni con i più potenti principati della penisola.
Articolo pubblicato su “Il Corriere di Siena” del 12 gennaio (pp. 12-13)
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