29/06/2012
Bisogna ammetterlo. Nella fitta schiera dei santi, Francesco d’Assisi è quello la cui luminosa aureola non ha conosciuto black out lungo il tempo. La sua agiografia ha retto il confronto con storie e storia di secoli. La sua spiritualità ha fatto apprezzare il radicalismo evangelico e la forza sovversiva che ne deriverebbe (il condizionale è d’obbligo). Perciò Francesco è l’antieroe che affascina non solo i cristiani, ma anche chi, prescindendo dalla fede, trova con lui intime idealità. Basti pensare agli ultimi decenni del Novecento per ricordare come il francescanesimo, in una sorta di sincretismo emotivo, sia stato assimilato dalle più diverse istanze e aspirazioni: ecologia, pace, il trasognato universo dei “figli dei fiori”, l’anticonsumismo, l’inconcludente titillare della new age, l’essere di necessità controcorrente.
L’icona di Francesco - Sta di fatto che in ogni epoca il mito di Francesco d’Assisi ha trovato una propria attualità e, quindi, il modo di inculturarsi, di essere tramandato, rappresentato. Lo testimonia, ad esempio, la vasta iconografia a lui dedicata e che oggi si è arricchita di una originale opera quale è il drappellone dipinto che a Siena costituisce premio per la contrada vincitrice del Palio. Quello del prossimo 2 luglio, realizzato da Claudio Carli (leggi), intende, infatti, fare memoria della prima venuta a Siena di san Francesco risalente a ottocento anni fa. Merita comunque rammentare che “il poverello di Assisi” ebbe celebrazione sullo stendardo tanto ambìto dai senesi in altre due occasioni. Nella Carriera dell’agosto 1894, vinta dalla contrada del Bruco, il cui drappellone dipinto da Arturo Viligiardi solennizzava il ripristino della basilica di san Francesco; e nell’agosto 1982, quando la Chiocciola portò in trionfo il dipinto di Arturo Carmassi dedicato all’VIII centenario della nascita del santo.
A Siena per volontà di Dio - Quanto ai soggiorni senesi di Francesco, si ha testimonianza di tre. Nel 1212, 1216 e 1226. Le circostanze del suo primo viaggio in terra senese trovano gustoso racconto nel capitolo XI dei “Fioretti” dove ci viene spiegato «come santo Francesco fece aggirare intorno intorno più volte frate Masseo, e poi n’andò a Siena». Praticamente le cose andarono così. Giunti a un trivio che indicava le direzioni di Firenze, Siena e Arezzo, Masseo pose il problema di quale strada prendere. La risposta di Francesco fu piuttosto generica, proponendo di affidarsi a ciò che Dio avrebbe voluto. Ma ancora più singolare (e divertente) fu la modalità con cui si intese capire quale fosse la volontà divina. Il candido Masseo venne invitato a girare ininterrottamente su se stesso «come fanno i fanciulli, e non ristare di volgerti s’io non tel dico», finché, frastornato da tanta vertigine e dalle ripetute cadute, udì l’ordine: «“Sta’ fermo e non ti muovere”. Ed egli stette, e santo Francesco il domanda: “Inverso qual parte tu tieni la faccia?”. Rispose frate Masseo: “Inverso Siena”. Disse santo Francesco: “Quella è la via per la quale Iddio vuole che noi andiamo”». L’accoglienza a Siena fu quanto mai calorosa. I senesi andarono loro incontro e «per divozione portarono lui e il compagno insino al vescovado, ch’ei non toccarono punto terra co’ piedi». Un arrivo, peraltro, provvidenziale perché la città era attraversata da forti tensioni e dissidi che, almeno sul momento, grazie alle prediche di Francesco, trovarono una qualche tregua.
La leggenda dell’Alberino - E’ a questo soggiorno che si fa discendere anche la leggenda del leccio nato nel punto in cui il frate di Assisi avrebbe conficcato il proprio bastone e dove poi sarebbe sorta la chiesa cosiddetta dell’Alberino. Leggenda che troviamo riportata anche nel diario di viaggio dello scrittore inglese John Evelyn (1620-1706), il quale annota che «appena fuori della città, cresce un albero che, secondo la leggenda, sarebbe nato dal bordone del Santo allorché venne da costui infisso nel suolo al momento di coricarsi; e il Santo stesso al suo risveglio l'avrebbe visto cresciuto in un bell'albero. Dicono che il legno che se ne ricava, fatto bollire, sia un toccasana in diverse malattie». E’ in questo luogo che si insediò il primo nucleo senese di frati francescani, tant’è che, quando nel 1216 Francesco fu di nuovo nella città del Palio, poté alloggiare proprio al convento dell’Alberino.
L’oftalmologia senese - L’ultima permanenza a Siena di san Francesco che si ricorda con dovizia di particolari è del 1226. Secondo il biografo Tommaso da Celano vi giunse da Rieti, attraversando la Val d’Orcia, insieme a un amico medico, ed anche tale viaggio registra fatti prodigiosi. I due stavano appunto percorrendo la strada tra Campiglia e San Quirico d’Orcia, quando tre donne, dall’aspetto di tre gemelle, si fecero incontro al Santo dicendo: «Ben venga signora povertà». Francesco invitò l’amico a fare elemosina alle donne, il quale «prontissimo trasse fuori la borsa e, balzato di sella, diede a ciascuna alcune monete». La narrazione del Celano si carica poi di mistero, poiché appena San Francesco e l’amico si voltano indietro per rimirare le tre belle fanciulle, esse sono sparite. Dell’episodio esiste una rappresentazione pittorica dovuta al Sassetta (“Le mistiche nozze di San Francesco”) conservata al Museo Condé di Chantilly. Il dipinto ha come sfondo la Cassia e l’inconfondibile cono del Monte Amiata.
Morte di un santo - Non era un caso che Francesco fosse accompagnato da un medico. Stava venendo a Siena per farsi curare gli occhi (la rinomanza della clinica oculistica senese vanta davvero una storia plurisecolare!), ma i problemi di salute del frate non erano legati solo alla vista. Il Celano ignorando, invero, norme sulla privacy e sul trattamento dei dati sensibili, ci informa con ogni dettaglio che Francesco «a seguito di una rottura dei vasi sanguigni dello stomaco, a causa della disfunzione del fegato, ebbe abbondanti sbocchi di sangue, tanto da far temere imminente la fine». Considerata la gravità della situazione fu fatto chiamare a Siena frate Elia. Il santo accennò a un miglioramento che gli consentì di raggiungere Cortona, però dopo pochi giorni il male ebbe di nuovo il sopravvento. Si decise di riportarlo ad Assisi, e là, dopo qualche mese, morì – per dirla con il Carducci – «incrociando a l’agonia le braccia / nudo […] su la terra sola». Nei suoi occhi, se pur malati, Francesco avrà portato anche l’immagine della turbolenta gente senese. Di quello stesso popolo che oggi lo onora ricordando di averlo incontrato ben otto secoli fa e innalzando sul Campo un’icona-paradigma del francescanesimo, il saio (questo è l’elemento dominante nel drappellone di Claudio Carli): indumento povero nelle logiche terrene, abito principesco nei vestiboli del Cielo.
Articolo pubblicato su Il Corriere di Siena del 29/06/2012
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Giornalista, scrittore, saggista. Inizia giovanissimo l’attività pubblicistica su giornali e riviste scrivendo di letteratura, musica, tradizioni popolari. Filoni di interesse su cui, nel corso degli anni, pubblica numerosi libri tra cui: La grazia del dubbio (1990), La festa difficile (2001), Siena d’autore. Guida letteraria della città e delle sue terre (2004), Giosuè Carducci. Una vita da poeta (2011), Giovanni Pascoli. Il poeta delle cose (2012), Il giornale della domenica. Scritti brevi su libri, vita, passioni e altre inezie (2013), Il racconto del vivere. Luoghi, cose e persone nella Toscana di Carlo Cassola (2017). Cura la ristampa del libro di Luigi Sbaragli Claudio Tolomei. Umanista senese del Cinquecento (2016) ed è co-curatore dei volumi dedicati a Mario Luzi: Mi guarda Siena (2002) Toscana Mater (2004),...
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