Raymond Carver, il Cechov del ceto medio americano

Luigi Oliveto

15/12/2016

Si è tornati a parlare del ceto medio. Perché la crisi lo ha dissolto, declassato, indispettito, fino a renderlo silenzioso vendicatore dentro le urne elettorali. La cosiddetta “gente” era in buona misura proprio quella middle class grazie alla quale il libero mercato celebrava i suoi fasti e tutti (diciamo quasi tutti) stavano bene. Secondo il sociologo Luciano Gallino era la “classe di servizio” che, volendosi emancipare, si poneva, appunto, a servizio della classe dominante. L’esempio più rappresentativo di ceto medio era quello americano, che ha avuto uno dei migliori narratori in Raymond Carver (1938-1988), non a caso definito “il Cechov del ceto medio americano”. Davvero folgoranti i suoi racconti brevi dove la provincia americana ne esce quanto mai vera, realistica. Còlta, com’è, nella propria umanità, nel grigiore dei giorni. Vite minime, fragili, arrese alle loro insicurezze, come mostrano certi interni di famiglia che lo scrittore descrive quanto basta a raggiungere risultati di grande poesia. Si ricorderanno, in proposito, i racconti di Carver che ispirarono il film “America oggi” con cui Robert Altman, nel 1993, vinse il Leone d’oro al Festival di Venezia. Ebbe a dire Richard Ford, “la vita è una cosa seria in questi racconti”.
 
Bill e Arlene Miller erano una coppia felice. Ma ogni tanto avevano come l’impressione di essere i soli, nella loro cerchia, a essere rimasti in qualche modo fuori: Bill, perso nel suo lavoro di ragioniere e Arlene, impegnata nei suoi compiti segretariali. Qualche volta ne discutevano, facendo dei confronti soprattutto con la vita dei loro vicini, Harriet e Jim Stone. Ai Miller pareva che gli Stone conducessero una vita più intensa e brillante della loro. I vicini andavano sempre a cena fuori, invitavano gente a casa o viaggiavano per tutto il paese in occasione di impegni di lavoro di Jim. Gli Stone abitavano nell’appartamento di fronte a quello dei Miller. Jim faceva il rappresentante per una ditta che fabbricava pezzi di macchinari e riusciva spesso a combinare le trasferte di lavoro con i viaggi di piacere. Ora, per esempio, si sarebbero assentati per dieci giorni, andando prima a Cheyenne e poi a St. Louis, a trovare certi parenti. In loro assenza, i Miller avrebbero badato all’appartamento degli Stone, dato da mangiare a Kitty e annaffiato le piante.
Bill e Jim si scambiarono una stretta di mano accanto alla macchina. Harriet e Arlene si tennero a vicenda per i gomiti mentre si sfioravano le labbra con un bacio. «Divertitevi», Bill disse a Harriet. «Come no», rispose Harriet. «Anche voi, ragazzi!» Arlene annuì. Jim le strizzò l’occhio. «Ciao, Arlene. Mi raccomando, trattalo bene il tuo vecchio». «Come no», disse Arlene. «Divertitevi», ripeté Bill. «Ci puoi scommettere», disse Jim, colpendo scherzosamente Bill sul braccio. «E grazie ancora, ragazzi». Gli Stone agitarono le mani in segno di saluto dalla macchina mentre si allontanavano e i Miller risposero al saluto. «Be’, mi piacerebbe essere al posto loro», disse Bill. «Dio solo sa se non farebbe bene anche a noi una vacanza», disse Arlene. Mentre risalivano nel loro appartamento, prese il braccio del marito e se lo mise attorno alla vita. Dopo cena Arlene disse: «Non ti scordare. La prima sera Kitty deve mangiare il cibo a base di fegato». Rimase in piedi sulla soglia della cucina a piegare la tovaglietta fatta a mano che Harriet le aveva portato da Santa Fe l’anno prima.
Entrando nell’appartamento degli Stone, Bill trasse un respiro profondo. L’aria s’era già fatta pesante e vagamente dolce. L’orologio a forma di sole sopra al televisore segnava le otto e mezza. Ricordava ancora quando Harriet aveva portato a casa quell’orologio e aveva attraversato il pianerottolo per mostrarlo ad Arlene, cullandone la cassa d’ottone tra le braccia e parlandogli attraverso la carta velina che lo avvolgeva quasi fosse un bambino. Kitty gli si strofinò contro le pantofole e si sdraiò su un fianco, ma saltò su subito appena lui si diresse in cucina e scelse una delle scatolette allineate in bell’ordine sul piano immacolato del lavello. Lasciò la gatta a sbocconcellare il cibo e si diresse in bagno. Si guardò nello specchio, chiuse gli occhi e si guardò di nuovo. Aprì lo sportello dei medicinali.
Trovò un flacone di pillole e ne lesse l’etichetta – Harriet Stone. Una compressa al giorno come da ricetta – quindi se l’infilò in tasca. Tornò in cucina, riempì la brocca d’acqua e andò in soggiorno. Finito di annaffiare le piante, poggiò la brocca sulla moquette e aprì la credenza dove erano conservati i liquori. Allungò una mano fino in fondo e ne tirò fuori la bottiglia di Chivas Regal. Prese due sorsi attaccandosi alla bottiglia, si asciugò le labbra sulla manica e ripose la bottiglia nella credenza. Kitty s’era messa a dormire sul divano. Bill spense le luci e lentamente si tirò la porta alle spalle, controllando che fosse chiusa bene. Aveva come la sensazione di essersi scordato qualcosa. «Come mai ci hai messo tanto?», gli chiese Arlene. Guardava la televisione con le gambe piegate sotto di sé. «Niente. Mi sono messo a giocare un po’ con Kitty», rispose lui, poi andò da lei e le carezzò i seni. «Andiamocene a letto, tesoro», le disse.
 
[da “Vicini” in America oggi di R. Carver, minimum fax, 2012]
 
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Luigi Oliveto

Luigi Oliveto

Giornalista, scrittore, saggista. Inizia giovanissimo l’attività pubblicistica su giornali e riviste scrivendo di letteratura, musica, tradizioni popolari. Filoni di interesse su cui, nel corso degli anni, pubblica numerosi libri tra cui: La grazia del dubbio (1990), La festa difficile (2001), Siena d’autore. Guida letteraria della città e delle sue terre (2004), Giosuè Carducci. Una vita da poeta (2011), Giovanni Pascoli. Il poeta delle cose (2012), Il giornale della domenica. Scritti brevi su libri, vita, passioni e altre inezie (2013), Il racconto del vivere. Luoghi, cose e persone nella Toscana di Carlo Cassola (2017). Cura la ristampa del libro di Luigi Sbaragli Claudio Tolomei. Umanista senese del Cinquecento (2016) ed è co-curatore dei volumi dedicati a Mario Luzi: Mi guarda Siena (2002) Toscana Mater (2004),...

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