Quando la vita sembra un deserto privo di senso. Gli adolescenti e le droghe

Francesco Ricci

19/12/2016

Sorgenbrecher (“scacciapensieri”) è il nome che Sigmund Freud dava alla droga, in particolar modo alla cocaina, di cui fece uso per circa tre anni. Questa, infatti, come annotò nei quattro articoli scritti sull’argomento, ha il potere di scacciare il cattivo umore, di donare l’allegria, di accrescere la vitalità e l’autocontrollo, e, in sostanza, per mezzo di tali effetti, di aiutare l’individuo a sottrarsi “alla pressione della realtà”. Ed è proprio da questa parola, Sorgenbrecher (“scacciapensieri”), che ritengo occorra partire per provare a fare luce sul consumo di droghe anche da parte dei più giovani. Un consumo, ci informano le statistiche, che ha registrato in Italia negli ultimi quindici anni un calo per quanto concerne l’uso di cocaina, di eroina, di stimolanti (ai quali appartiene l’ecstasy), e un incremento, invece, per quello di cannabis (150000 è il numero degli adolescenti che la utilizzano in maniera sistematica). A ciò occorre aggiungere altri due dati interessanti: 1) la discoteca è il luogo nel quale i giovani affermano che è più facile reperire ogni tipo di sostanza 2) è in crescita la percentuale di studenti che assumono droghe “alla cieca”, vale a dire senza conoscerle e, soprattutto, senza sapere quali siano gli effetti che procurano. Infine, a comporre il quadro d’insieme, concorre un altro elemento, legato alle ragioni del consumo. Quello che i giovani dichiarano di ricercare, assumendo droghe, è, prima di qualunque altra cosa, il piacere: il piacere di sottrarsi al vuoto della vita quotidiana (eroina), il piacere che si origina dal dissolversi delle paure (l’ecstasy), il piacere di mettere in un angolo la stanchezza e la depressione (cocaina), il piacere, da ultimo, legato al rilassamento, al riso, all’aumentata capacità immaginativa (cannabis).

Per lungo tempo la droga ha incrociato la biografia di scrittori e di poeti, specie nel XIX e nel XX secolo, nel Vecchio e nel Nuovo continente: Coleridge, De Quincey, De Musset, Nerval, Baudelaire, Rimbaud, Cocteau, Burroughs, Ginsberg, Corso. Poi si è fatta anche storia, anche narrazione, basti pensare a due libri di grande successo di pubblico come “Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino” di Christiane F., uscito nel 1979, e “Trainspotting” di Irvine Welsh, pubblicato nel 1993. In Italia è possibile menzionare i racconti che compongono “Altri libertini” (1980) di Pier Vittorio Tondelli e il romanzo “Bastogne” (1996) di Enrico Brizzi. Ecco come vengono descritti i sintomi iniziali di una crisi di astinenza da eroina nel primo testo: “Stanno lì come bastonati, il Bibo sbianca, si fa livido di più sempre di più, dice che se gli prende di nuovo una strizza si caga sotto perché non c’ha la forza di reggersi neanche un muscolo. Ed è sempre più ingolfato e rattrappito e Giusy sa che da un momento all’altro salterà, sono due giorni che non fa buchi, non resisterà ancora per molto. “Rino che si fa se Bibo sbotta?” chiede sottovoce. Rino non risponde, beve la grappa. “Portalo all’ospedale”. “Cazzo, è un inferno, povero diavolo. Mica c’ha il collasso. È solo a secco; è freddo e basta”. Bibo intanto comincia a sudare, si liscia in continuazione la fronte, si guarda le mani bagnate, balbetta che ha caldo e che ha i brividi e non regge la schiena dritta”. In “Bastogne”, invece, la droga che viene spacciata e consumata dai giovani nizzardi è soprattutto la coca: “Raimundo apre un cartoccio infilato nella tasca della braga, stende la bamba su un piatto rovesciato, prepara col coltello due righe lunghe e sottili, tira e sbuffa e tira e si frega il naso”. Eppure né la crudezza di certe scene della cosiddetta letteratura giovanile, che ha ispirato anche film, né la facilità di reperire informazioni circostanziate in materia di droghe – in particolare in relazione agli effetti che hanno sull’organismo di che le assume –  paiono sufficienti ad arginare il consumo delle stesse da parte dei più giovani.

La questione, evidentemente, va affrontata su un piano diverso da quello della paura per la dipendenza o dell’essere o non essere informati, un piano che inerisce alla fatica e all’insensatezza del vivere. Certo, pesa sui giovani anche la voglia di venire accettati dal gruppo dei coetanei, pesa la tendenza, in assenza di un’identità consapevole e strutturata, a uniformarsi alla condotta altrui, pesa il fascino di trasgredire il divieto e la norma, pesa la lusinga dello sconosciuto e dell’inesplorato. Ma la causa di fondo che spiega il fenomeno dell’elevato e diffuso consumo di droghe resta, a mio avviso, il precoce rendersi conto, sulla propria pelle e attraverso i racconti delle esperienze dei più grandi, che l’esistenza in fondo non è poi una gran cosa. Non lo è per tanti motivi, che in parte – solamente in parte –  si legano anche al posto occupato (o che sarà occupato) dal giovane nella scala sociale. Certo, tanto la prospettiva di restare sempre in fondo a questa quanto quella di dover condurre, per non ritrovarvisi, un’esistenza percepita come “non propria”, poiché condannata a immolare, sull’altare dell’efficienza e del successo, aspirazioni e passioni autentiche, appaiono due prospettive in egual misura stremanti e inaridenti. Eppure c’è dell’altro. C’è che non si può vivere a lungo senza accendere un fuoco, o senza avere accanto qualcuno che lo accenda al nostro posto, e che ci offra la testimonianza concreta che emozioni, sogni, valori, aneliti, desideri, non sono sempre e soltanto parole vuote e che lo sperare e il ricercare non sono inevitabilmente destinati al fallimento. Quando questa fiamma è spenta, infatti, e dove l’esistenza, già a quindici, sedici anni, altro non pare essere che un deserto privo di senso – nessuna strada da imboccare, nessun cielo azzurro e amico verso cui alzare lo sguardo – dimenticare, stordirsi, alleggerire il peso che ci trascina verso il basso, sembrano essere la soluzione a portata di mano. Sorgenbrecher, “lo scacciapensieri”.
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Francesco Ricci

Francesco Ricci

(Firenze 1965) è docente di letteratura italiana e latina presso il liceo classico “E.S. Piccolomini”di Siena, città dove risiede. È autore di numerosi saggi di critica letteraria, dedicati in particolare al Quattrocento (latino e volgare) e al Novecento, tra i quali ricordiamo: Il Nulla e la Luce. Profili letterari di poeti italiani del Novecento (Siena, Cantagalli 2002), Alle origini della letteratura sulle corti: il De curialium miseriis di Enea Silvio Piccolomini (Siena, Accademia Senese degli Intronati 2006), Amori novecenteschi. Saggi su Cardarelli, Sbarbaro, Pavese, Bertolucci (Civitella in Val di Chiana, Zona 2011), Anime nude. Finzioni e interpretazioni intorno a 10 poeti del Novecento, scritto con lo psicologo Silvio Ciappi (Firenze, Mauro Pagliai 2011), Un inverno in versi (Siena, Becarelli, 2013), Da ogni dove e in nessun luogo (Siena, Becarelli, 2014), Occhi belli di luce (Siena, Nuova Immagine Editrice, 2014), Tre donne. Anna Achmatova,...

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