Quando alla base della letteratura c'erano le relazioni umane

Massimiliano Bellavista

16/11/2020

Nel poker la doppia coppia è una mano composta da due carte dello stesso valore, in combinazione con altre due carte dello stesso valore anch'esse, più un kicker... Se entrambe le coppie coincidono, il kicker è proprio la carta che si va a guardare per decidere chi vince la posta. Sul tavolo verde su cui Francesco Ricci fa scivolare le sue carte, ci sono due misteriosi giocatori che si affrontano con due doppie coppie: Debenedetti e Saba, Ginzburg e Morante, Moravia e Pasolini, Pavese e Pivano. La posta in gioco è possedere l’impronta culturale di un Paese ben diverso da quello di oggi.  Ma a quel tavolo nessuno dei due giocatori sconosciuti può vincere, si tratta di coppie composte da carte pesanti, raffiguranti autentici mostri sacri della letteratura nostrana ed europea. Il kicker però è proprio Ricci, che in questi ultimi anni si è in qualche modo ritagliato una nicchia nella saggistica e ha inventato, anzi reinventato un genere. È lui che anima il gioco e sposta con abilità il fulcro della nostra attenzione.

In epoca di virale e virtuale, sappiamo fin troppo bene quanto ci manchi il vissuto materiale. E allora come possiamo immaginare che lo scrittore, possessore di una sensibilità superiore alla media, sia una sorta di stilita, un asceta della parola appollaiato su una colonna?  La scrittura come ha ben detto Cees Nooteboom, è come costruire una strada per fare un viaggio, e se si può certamente viaggiare da soli, assai spesso lo si fa in coppia o in gruppo e certamente lungo la strada non si può fare a meno di confrontarsi con cose e persone. Anzi, si viaggia proprio per quello. Ecco perché il filo rosso che anima l’opera di Ricci da un po’ di tempo a questa parte è quello di riempire gli spazi e colmare i silenzi, aiutando il lettore a capire dove, come, quando e con chi i grandi scrittori nostrani hanno interagito, quanto tutto ciò ha influito sul loro modo di concepire l’arte e la letteratura. Non si tratta di otto biografie, nulla di tutto questo, di quelle se ne vendono un tanto all’etto: la domanda cui il libro risponde non è quella di capire, nozionisticamente, di che cosa e come questi autori “sono morti”, ma piuttosto come (e con chi) hanno vissuto.   E poco importa chi dei giocatori alla fine vorremo far vincere, questo dipenderà dalle nostre convinzioni di lettori, quello che è certo è che da questa lettura usciremo comunque arricchiti e assai più consapevoli.

Dice l’autore in “Elsa, le prigioni delle donne”, dedicato nel 2019 alla MoranteCome lettore, sono sempre stato interessato esclusivamente ai romanzi, ai racconti, ai saggi, che contribuiscono a migliorare la nostra conoscenza dell’umano: Dante, Shakespeare, Dostoevskij, sanno insegnarci intorno all’uomo, alla condizione dell’uomo, alla dimensione intima dell’uomo, lo stesso che possono insegnarci gli psicologi del profondo. Insomma, quando leggo, un libro pretendo che questo, partendo dalla vita di chi scrive, finisca col parlare alla vita di chi ne sfoglia le pagine”. Non sappiamo se lui se ne sia reso pienamente conto, ma come autore Ricci già in quel libro ci aiutava a compiere anche la navigazione inversa: sfogliando le pagine di quel libro presi dai fatti della nostra vita, si finiva per restarci incollati e cadere dritti dritti nella vita di Elsa Morante, seguendola in presa diretta. Così succede, anche se moltiplicato per otto, in questo suo ultimo volume. Si tratta quindi di un libro prima di tutto empatico, capace di catalizzare la reazione di osmosi tra lettore e percorsi di vita narrati. Al crocevia di questi percorsi, questa è la tesi di fondo che l’opera veicola, c’è stata un’epoca della storia del nostro Paese, periodo che nella quarta di copertina è individuato grossomodo con il trentennio che inizia con la conclusione del secondo conflitto mondiale (ma che io estenderei anche un filo di più almeno fino agli anni ottanta, avendo vissuto da ragazzo le estreme propaggini di quel modo di intendere la letteratura, che si esplicitava incomparabilmente più di ora e senza ritrosie e imbarazzi in occasioni di condivisione orale e promiscuità letteraria, in incontri pubblici fin dalle prime fasi di ideazione e gestazione di un’opera letteraria) in cui i libri non nascevano nel silenzio, ma nella convivialità di locali e ristoranti rumorosi, in accesi e ben frequentati salotti romani e milanesi, e nella frenesia delle fumose redazioni dei quotidiani.

E non si trattava mica di opere trascurabili; i romanzi, i racconti e le poesie non ne uscivano peggio di ora, anzi è ben vero il contrario. Perché allora si faceva così, perché gli scrittori vivevano e interagivano profondamente gli uni con gli altri e con la società, molto più di adesso? Nella desertificazione dei rapporti umani che stiamo attualmente vivendo, ben ci accorgiamo del significato preponderante che un ambiente, una relazione d’amore o anche una salda amicizia possono avere nella cura della nostra anima, nel nostro quotidiano esercizio intellettuale: questo per gli otto scrittori che popolano le righe di Ricci era chiaro come il sole a mezzogiorno. Anzi era scritto nel loro istinto: li accomunavano (anzi, accomunavano tutta la loro generazione) storie di solitudine, di violenza e di oppressione durante la guerra. Ora, che “si era liberi di scrivere, pubblicare, presentare i libri, partecipare a premi letterari, farsi intervistare, comparire su rotocalchi e quotidiani”, essi non si lasciano sfuggire questa opportunità, prima ancora etica che comunicativa, di parlare a tutti e di parlare chiaro, di interagire, di concepire e vivere pienamente la scrittura, detto alla Calvino, come mattone e motore del patto sociale. Ci si accorge leggendo che in loro non c’è desiderio di rivalsa, ma un autentico entusiasmo, una fiducia a tratti anche ingenua nella forza del racconto e della parola cui Ricci guarda giustamente da contemporaneo e acuto osservatore di quanto succede nella nostra società, con un tocco di nostalgia.

E queste coppie di grandi autori e scrittori, presentate da Ricci in un modo che qualche volta fa pensare a una specie di messa in scena teatrale, come le particelle subatomiche si rivelano ai nostri occhi nel libro solo quando le loro orbite si incrociano e si libera energia. Immersi nelle relazioni profonde tra di loro ne accettano consapevolmente tutti (o quasi) i risvolti: quelli positivi di stima, solidarietà e aiuto ( si vedano nel libro le interessantissime dinamiche SabaDebenedetti o Ginzburg-Morante) ma anche le gelosie, le incomprensioni, le critiche, mai cattive anzi sofferte, alle rispettive opere, i momenti di lontananza, e talvolta pure i rifiuti (si pensi alla diade Pavese-Pivano, forse la sezione più affascinante del volume) di portare il loro rapporto su di un piano diverso.  Credo che, più di ogni altra cosa, sia proprio questo che Ricci ci aiuta a capire, con il suo modo di porgere le cose al contempo musicale e lieve ma anche strutturato e attento, in quanto frutto come sua abitudine di una meticolosa ricerca; quegli scrittori non hanno vissuto isolati (e i contemporanei non dovrebbero farlo nemmeno oggi), chiusi in bolle comunicative che riecheggiavano solo e soltanto il loro pensiero, ma sono sempre rimasti aperti al confronto con chi concepiva in modo assai diverso il “mestiere di scrivere”.  Moravia e Pasolini, ad esempio, dal loro desiderio di stare vicini comprando casa assieme, dal comune viaggio materiale (si vedano le pagine dedicate all’India) e spirituale non hanno sicuramente mai messo a repentaglio un grammo della loro originalità espressiva, ma ne hanno anzi acquistato molto sul piano umano.

Se scrivere ha senso solo se ci si pone degli obiettivi smisurati, leggere questo libro appare allora doppiamente sensato: in primis perché il volume parla di coloro che questo principio lo hanno autenticamente messo in atto, pagandolo in qualche caso con la vita. In seconda battuta perché chi lo ha scritto ambisce genuinamente e senza retorica a farci tornare indietro nel tempo richiudendo intorno a sé gli echi sgranati di un’epoca per certi versi troppo frettolosamente e schematicamente archiviata.
 
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Massimiliano Bellavista

Massimiliano Bellavista
Massimiliano Bellavista è consulente di direzione, blogger (www.thenakedpitcher.com) e docente di Management strategico presso l’Università di Siena. Vincitore di premi letterari, suoi racconti e poesie sono pubblicati su riviste e antologie. Scrive una rubrica fissa per la rivista stroncature.com. Tiene regolarmente seminari di scrittura e in merito alla valorizzazione ed alla comprensione del libro antico come bene letterario e culturale. A Siena anima la scuola di scrittura Recensio. Riguardo alle sue opere di narrativa, poesia e management, pubblicate in italiano ed in inglese, tra le più recenti ricordiamo: Le reti d’impresa (Franco Angeli, 2012); Anatomia dell’invisibile (Tabula Fati, 2017); L’ombra del Caso (Il Seme Bianco 2018) e The Naked Pitcher (Licosia 2018); Dolceamaro (Castelvecchi 2019); Marketing e management degli impianti sportivi (Azzurra 2019); Vertical Farming (Licosia 2019)
 
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