30/10/2015
Non poteva avere più calzante avvio il ciclo di conversazioni organizzato dalla Biblioteca Comunale degli Intronati di Siena sui problemi che s’addensano attorno alle spinose questioni relative al patrimonio culturale: alle forme di gestione da innovare, al controverso rapporto tra poteri pubblici e soggetti privati, ai criteri economici da seguire in un ambito dotato di sue specificità. Andrea Ragusa nella conversazione inaugurale ha ripercorso il cammino che ha portato dalla Costituente all’istituzione, nel 1974, del Ministero per i beni ambientali e culturali. L’obiettivo della “tutela” del paesaggio e del “patrimonio storico e artistico” è inscritto nell’articolo 9 della nostra Carta fondamentale e non come vaga dichiarazione di principio. In sede di assemblea furono Costantino Mortati e Vezio Crisafulli a sottolineare l’“efficacia normativa anche delle disposizioni costituzionali esclusivamente programmatiche”, chiarendo che gli indirizzi fissati dovevano trovare concretezza in norme e atti conseguenti. Sorgeva così nel ’48 uno Stato che faceva della cultura elemento non secondario di una cittadinanza consapevole.
L’Italia agli italiani - La seconda conversazione in calendario è stata tenuta da Daniele Manacorda, docente di Metodologia della ricerca archeologica all’Università Roma Tre. Il titolo, “L’Italia agli italiani” può sembrar strano. È quello stesso che Manacorda ha dato ad un suo pamphlet, che prende di petto dilemmi cruciali. È necessario, secondo lui, procedere a corpose riforme legislative smantellando paralizzanti diffidenze. Non ci si deve spaventare quando si progetta un’economia della cultura che superi una visione rigidamente accentrata e statalistica. La Costituzione non a caso assegna al riguardo compiti decisivi alla “Repubblica” e quindi è tutt’altro che ostile ad un protagonismo largo e comprensivo. Il concetto di privato non è da demonizzare, ma da inserire in un sistema che armonizzi con coraggio apporti e funzioni. “Per un corto circuito – scrive Manacorda – di cui si può capire la matrice […] il concetto di privato è associato, infatti, a quello di denaro e per sillogismo a quello di speculazione”. In realtà la sfida cui rispondere consiste nel saper coinvolgere istituzioni pubbliche e private, imprese illuminate e volenteroso associazionismo in progetti di interesse generale: obiettivo tanto più attuale in un periodo drammatico di penuria delle risorse. Di recente Manacorda ha lanciato l’idea di “restituire al Colosseo la sua arena” facendone luogo eccelso di spettacoli di grande richiamo. Apriti cielo! Il ministro Franceschini si è detto favorevole, ma agguerrite e nette sono state le opposizioni soprattutto degli addetti ai lavori. Una tale operazione è corretto riuso di un monumento o disinvolta sua annessione ad una banalizzate logica turistica? Franco Cardini ha sentenziato che “lo spettacolo di un Colosseo sventrato è di gran lunga migliore di quello di una piazza ridotta a deposito di immondizia”.
Privati nel patrimonio - Ma il vero antagonista della linea proposta da studiosi come Manacorda è Tomaso Montanari, chiamato a esporre con il consueto vigore le sue tesi in una conferenza (3 novembre) che avrà al centro un volumetto di fuoco, dal titolo argutamente ambiguo: “Privati del patrimonio”. Nel quale si toccano pure noti casi, e guai, senesi. Qui il Comune e i poteri pubblici ad ogni livello non sono stati finora in grado di dar concretezza a progetti essenziali per la città. Il Santa Maria della Scala non solo manca a tutt’oggi di un’autonoma veste istituzionale, ma è in balia di concessioni a singhiozzo che hanno relegato in secondo piano lo scopo principale del restauro architettonico: il trasferimento nell’antico ospedale della Pinacoteca Nazionale, arricchita di nuovi innesti e articolata secondo più moderni criteri. Antesignano di una visione integralmente pubblicistica e rigorosamente didattica, Montanari nutre il suo ragionare di spietate analisi e insiste sulla natura politica delle scelte: ci si deve chiedere se il patrimonio culturale giochi oggi dalla parte dei diritti o sia sottomesso ad un’inarrestabile supremazia di calcoli dal corto respiro: “La commercializzazione totale – si chiede retoricamente –, la letterale mercificazione del patrimonio culturale inciderebbe, o no, sul messaggio di quei monumenti? Ne modificherebbe, o no, la funzione civile?”. Domande estreme destinate ad accendere aspri confronti. Esistono, comunque, esperienze nelle quali il rapporto tra pubblico e privati – parola che copre soggetti diversissimi – hanno costruito realtà positive di rilancio, accordando spazio a cooperative giovanili e inventando modalità territoriali di “governance” da esaminare con cura.
Reti tra istituzioni - Spetterà a Fabio Donato (11 novembre), ordinario di Economia aziendale all’Università di Ferrara e rappresentante italiano, tra altri numerosi incarichi, nel programma europeo Horizon 2020, puntare i riflettori su queste novità. Occorre superare anacronistiche separatezze e inveterate diffidenze. È urgente, egli sostiene, la costituzione di reti tra istituzioni culturali organizzate in sistemi territoriali che si avvalgano di modelli manageriali innovativi favorendo partenariato con le imprese e partecipazione civica. Riconsiderare in questa prospettiva la Fondazione musei senesi può rivelarsi utile? Quella teorizzata è una mediazione credibile? Quali situazioni la convalidano? E che vento tira in Europa? Salvatore Settis, archeologo, già direttore della Normale e ora presidente del Consiglio scientifico del Louvre, chiuderà (16 novembre) la serie dei colloqui, pensati come momenti di confronto non diplomatico tra ceti dirigenti e addetti ai lavori, tra cittadini appassionati e responsabili delle ricerche in materia. Nessun serio intervento sarà possibile – è la convinzione più volte ribadita da Settis – se non si parte da un ripensamento delle istituzioni di tutela per farne davvero una “magistratura del patrimonio” sottratta alla volubilità della politica. Malgrado alcune apprezzabili misure legislative animate da spirito riformistico, si è lontani dal conferire all’universo racchiuso nell’abusata categoria di cultura o ai cosiddetti beni culturali la funzione centrale propagandata a cuor leggero. E non si creda di sopperire alle mancanze, all’inerzia o ai vuoti promuovendo una futile creatività, che non crea un bel nulla e lascia il tempo che trova.
Articolo pubblicato sul “Corriere di Siena” del 27 ottobre 2015
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