02/05/2012
A domande sui classici e sul loro valore risponde il professor Francesco Prontera, docente di Geografia storica antica e Storia greca presso l’Ateneo perugino. Nel 1983 Prontera diviene professore associato di Geografia storica del mondo antico e nel 2000 professore ordinario di Storia greca. Borsista della Alexander von Humboldt-Stiftung (1986/87: Heidelberg e Freiburg i. B.), ha fondato nel 1992 la rivista internazionale “Geographia Antiqua” edita dalla casa editrice Olschki di Firenze. Ha tenuto corsi e seminari di geografia antica presso l’Università di Bordeaux III nel 2000 e presso l’École Pratique des Hautes Études, Sorbonne nel 2002. Autore di molte pubblicazioni, volumi e saggi, di Francesco Prontera qui ricordiamo: “Geografia e storia nella Grecia antica” (Olschki Editore, 2011); “Tabula Peutingeriana. Le antiche vie del Mondo” (Olschki Editore, 2003); “Strabone: contributi allo studio della personalità e dell'opera” (Università degli studi di Perugia, 1986).
Professor Prontera, perché leggere i classici greci e latini ancora oggi?
“Nelle espressioni letterarie della storia universale la civiltà greco-romana si distingue per la ricchezza e la varietà straordinaria di forme e contenuti. A una lettura non scolastica dei classici può portare solo un’autentica curiosità intellettuale, tenuta viva dal rapporto costante con la realtà contemporanea e con la sua dimensione storica”.
Lei insegna Geografia storica del mondo antico all’Università di Perugia. Perché studiare una disciplina simile nel 2012, quando la tecnologia e i satelliti ci hanno detto quasi tutto sulla configurazione geografica del nostro pianeta?
“Al di fuori della dimensione storica e del rapporto critico fra passato e presente dubito fortemente che gli studi classici possano avere ancora un senso nella formazione intellettuale delle nuove generazioni. La conoscenza dei luoghi è parte essenziale di tale dimensione storica; non saranno certo le immagini satellitari del nostro pianeta a colmare l’ignoranza geografica che ancora oggi – con poche eccezioni – caratterizza l’approccio scolastico all’antichità classica; che fine ha fatto l’atlante storico, questo vecchio strumento di studio, tanto modesto in apparenza quanto indispensabile? A suo tempo (1930) già il nostro Giorgio Pasquali lamentava l’ignoranza in campo geografico degli aspiranti professori di latino e greco. Temo che oggi la situazione non sia di molto cambiata e in questo vedo un altro segno della separazione degli studi classici dalla realtà, antica e moderna”.
Per quanto riguarda l’Occidente, il pensiero scientifico nacque in Grecia come sviluppo della filosofia, intesa come amore per la sapienza e tendenza alla speculazione della realtà. Quali letture consiglierebbe a chi desidera comprendere quanto siamo debitori verso gli antichi da questo punto di vista?
“Ecco un campo in cui la lettura dei classici, greci soprattutto, sarebbe ancora stimolante, se non altro perché porterebbe a rimeditare il rapporto fra le lettere e le scienze. Ma in quante antologie scolastiche della letteratura greca Euclide, Archimede o Teofrasto occupano uno spazio commisurato a quello che hanno altri testi, poetici, retorici, teatrali, storici e filosofici? E questa irresistibile tendenza classicista domina anche nelle lodevoli iniziative che mettono autori greci e latini alla portata del grande pubblico, che li trova nell’edicola sotto casa. Un ottimo profilo generale della scienza greca offrono due bei libri da tempo tradotti in italiano, pur diversi per la formazione intellettuale degli Autori e anche per la prospettiva storica in cui essi maturarono le proprie idee: Le origini della scienza in Grecia di Kurt von Fritz (Bologna, Il Mulino 1988) e La scienza dei Greci di Geoffrey E. R. Lloyd (Roma-Bari, Laterza 1978). A questi si deve poi aggiungere La scienza dei Romani, di W. H. Stahl (tr. it. Roma-Bari, Laterza 1991)”.
Secondo Lei, i classici possono davvero aiutarci (e in che modo) a comprendere il significato e il valore di parole come identità, alterità e società multiculturale, delle quali oggi molto si parla in seguito ad un processo sempre più frenetico di globalizzazione?
“L’intera esperienza storica dei Greci li ha messi in contatto con le civiltà più diverse, perciò anche l’etnografia, l’antropologia e il relativismo culturale sono nati in Grecia, come sappiamo. Così, non è difficile riconoscere certe analogie esteriori, per fare solo un esempio, fra le condizioni socio-culturali dell’età ellenistico-romana e quelle odierne. Detto questo, credo però che il fenomeno della c.d. globalizzazione sia troppo peculiare dei nostri tempi, per gli stessi condizionamenti economici su scala mondiale, che ne sono il presupposto. Sotto questo aspetto i classici non ci aiutano molto a capire le ragioni profonde del fenomeno; occorrono altre letture, altre comparazioni e altre sollecitazioni intellettuali”.
Atene, Roma, Gerusalemme sono le tre grandi radici dell’Europa e dell’Occidente. Cosa possiamo e dobbiamo fare per non dimenticare e non perdere queste nostre origini comuni?
“L’esperienza classica e quella giudaico-cristiana sono parte costitutiva del nostro patrimonio culturale, ma sarebbe un errore dargli un significato assoluto ed esclusivo. Quella che a prima vista può apparire come l’eredità oggettiva di un tempo lontano è in realtà l’esito storico di una tradizione; e ogni tradizione, per sua stessa natura, è anche in larga misura una costruzione. Non credo alla botanica applicata alla storia e starei alla larga da tarde suggestioni romantiche; metterei piuttosto l’accento anche in questo caso sul confronto critico, e quindi disincantato, fra presente e passato”.
SOTTO TORCHIIO
LIBRO E AUTORE PREFERITI
L’opera geografica di Eratostene
L’ULTIMO LIBRO LETTO
“Gli schiavi nel mondo greco e romano” di Jean Andreau e Raymond Descat
IL LIBRO DA CONSIGLIARE AI LETTORI
“Il Discorso sopra il vero fine delle lettere e delle scienze” di Antonio Genovesi
LEGGERE È…
Riflettere piacevolmente
Duccio Rossi
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