Matteo Strukul è un prolifico autore di romanzi storici. Tra i suoi titoli di maggiore successo la tetralogia dedicata ai Medici, il cui primo volume, «Una dinastia al potere», vinse il premio Bancarella nel 2017. Ora, con «Paolo e Francesca. Romanzo di un amore» (Nord-Sud Edizioni), Strukul si addentra nel mito dei due cognati-amanti che
Dante pose tra i lussuriosi morti per amore, condannati ad essere percossi da un vento incessante, e in quel tormento uniti per l’eternità («due che 'nsieme vanno, / e paion sì al vento esser leggieri»). Il poeta ascolta da Francesca il racconto della loro storia (Paolo tace per tutto il tempo) e ne viene così turbato da svenire: «E caddi come corpo morto cade». In Dante, dunque, la commozione sembra prevalere sul giudizio morale. E’ scosso e intenerito da quell’«amor, ch’a nullo amato amar perdona» (che non risparmia a nessuno amato di riamare a sua volta). Forse aveva appreso la vicenda da Bernardino da Polenta, fratello di Francesca, con il quale aveva combattuto nel 1289 contro gli Aretini nella battaglia di Campaldino, qualche anno dopo l’uccisione dei due giovani. Poche sono le certezze storiche sui fatti che videro coinvolte la famiglia ravennate dei da Polenta e dei Malatesta da Rimini. Ma per fare di storia un romanzo, la scarsità di fonti documentarie può essere persino un’ulteriore opportunità per dare corpo alla trama e forza evocante alla narrazione. E questo fa Matteo Strukul muovendosi in un leggendario medioevo di castelli, famiglie avverse, arcigni precettori, codici miniati, intrighi, fughe; e ovviamente intrecciando l’illecito e tragico amore di Lancillotto e Ginevra con quello di Paolo e Francesca altrettanto illegittimo e drammatico. Una passione prima solo covata nel proprio animo, poi fattasi carne, complice la lettura di un libro («Noi leggiavamo un giorno per diletto / di Lancialotto come amor lo strinse») che, al pari di quel Galehaut che aveva giustappunto favorito l’amore tra Lancillotto e Ginevra, spinse Francesca a baciare Paolo, così che i suoi sentimenti per lui fossero finalmente espliciti. Perciò «Galeotto fu ’l libro e chi lo scrisse».
***
In cima alla torre, guardò la spianata sottostante: si stendeva ai piedi della collina, candida per la neve caduta. Si perdeva fino all’indaco del mare. L’acqua chiara, cerulea, tremava in lontananza. Uno stormo di corvi strillò nel cielo color stagno. Poi, neri e terribili, gli uccelli scesero in picchiata, planando sulla spianata, e dilagarono come una macchia d’inchiostro sulla cortina ghiacciata dei campi tutt’attorno. Francesca aguzzò la vista, gli occhi celesti simili a lame di ghiaccio. Si strinse nel mantello di pelliccia di lupo. Il vento gelido si alzò, spettinando i suoi lunghi capelli color miele selvatico. La pelle, più bianca dell’alabastro, s’imporporò sulle gote. Era un giorno d’inverno e, malgrado suo padre fosse contrario a che lei salisse sugli spalti, aveva disobbedito, perché dal camminamento poteva vedere il mondo attorno, cupo eppure brulicante di vita.Da quando, in città, i Traversari avevano scelto di avversarlo con ogni mezzo, suo padre Guido, capo dei da Polenta, aveva voluto che la famiglia si ritirasse entro le mura della rocca, costruita sulla cima di un colle aguzzo, a Bertinoro. Francesca inspirò il profumo dell’inverno: la brezza gelida le portò l’odore intenso dei pini che punteggiavano il perimetro del castello e il sentore aspro del fumo dei camini. La vista delle quattro grandi torri circolari, agli angoli dell’ampio quadrato della rocca, le fece girare la testa. Sotto di lei stava il borgo: i tetti spioventi delle case a formare un mare rosso di tegole. Allargò le braccia e per un attimo le parve di volare. L’aria ghiacciata le si insinuò sotto il collo di pelliccia, provocandole un brivido. Si sentì più viva che mai. Era quella la sensazione che provava Ginevra? Lei che amava, riamata, di una passione folle Lancillotto del Lago? Francesca adorava quel testo, che aveva letto e riletto in lingua francese, e di cui suo padre le aveva procurato una copia manoscritta. Sognava una passione come quella. Si perdeva nei segreti di quelle pagine che la facevano piangere e tremare quando lui salvava Ginevra rinchiusa nell’impenetrabile castello di Meleagant. Com’era vivere una passione così divorante al punto che Lancillotto avrebbe dato la vita per la sua amata? Esisteva davvero un
uomo come lui? Francesca sospirò e si godette la morbida carezza della pelliccia di lupo, mentre il sole pallido scompariva, velato da nuvole simili a gomitoli di lana. Chiuse gli occhi e cullò l’immagine di un cavaliere in armatura scintillante, disposto a fare qualsiasi cosa pur di avere il suo cuore.
«Francesca!» esclamò una voce sgraziata, spezzando l’incantesimo. Riaprì gli occhi e vide il volto del suo maledetto precettore.
«Monsignor Rigoldi!» rispose, con la morte nella voce. Sapeva già che cosa sarebbe accaduto.
«Quante volte vostro padre vi ha proibito di venire qui?»
«Vi va di indovinare?» replicò sarcastica. Guardò quel vecchio dai capelli bianchi, dritti come pennacchi sulle tempie, gli occhi grigi, liquidi e infidi. Non lo sopportava. Certo, era colto e parlava almeno cinque lingue, ed era proprio grazie a lui se aveva potuto leggere anche il poema di Chrétien de Troyes che tanta parte aveva nelle sue giornate ma, malgrado i meriti dell’insegnamento, il suo modo di fare le riusciva insopportabile. La controllava continuamente ed era a capo di uno stuolo di balie e cameriere che parevano avere come unico scopo quello di impedirle di vivere.
«Non siate impertinente!» gracchiò lui, proprio come quei corvacci che, ora, avevano spiccato di nuovo il volo e si erano messi a strillare la loro tagliente litania. «Piuttosto, vi aspettavo nella sala delle lettere per verificare la vostra conoscenza della Storia».
La lezione! Se n’era completamente dimenticata. Ma perché doveva ancora sottostare alle stupide regole di quel prelato da strapazzo? Aveva sedici anni. Era una donna, ormai! E come tale voleva essere lasciata in pace. Suo padre la considerava in età da marito e presto o tardi le avrebbe detto di prepararsi per l’uomo che aveva scelto per lei. E dunque?
«Non avevo voglia» disse, ed era vero.
«Che cosa?» le domandò sbigottito il vecchio prelato. «State scherzando?»
Francesca trattenne a stento una risata mentre vedeva monsignor Rigoldi indeciso se salire gli ultimi gradini per avvicinarsi a lei o restare più prudentemente in basso. Ci pensò e rimase dov’era.
«Lo dirò a vostro padre» disse lui con aria di ripicca. Sperava di farle paura.
«Negherò».
«Ah, molto bene, mia cara!» Mentre si lasciava andare a quell’esclamazione, i suoi occhi lampeggiarono di stizza. «Ma sappiate che non la passerete liscia».
«Intendete punirmi?»
Monsignor Rigoldi parve pensarci su. I suoi occhi chiari risaltavano ancora di più sulla carnagione scura. Per questo Francesca lo chiamava ‘Pan di Zenzero’. Sembrava che, subito dopo essere venuto alla luce, qualcuno lo avesse cotto in forno per un po’.
«Faremo così» disse infine, «domani vi interrogherò non solo in Latino ma anche in Storia».
Francesca sbuffò. Ci mancava anche quella. Era stanca di essere trattata come una ragazzina. Ma sapeva che, mentre suo padre era disposto a perdonarla, sua madre non lo sarebbe stata affatto e avrebbe pensato a ogni modo per punirla, dunque tanto valeva mostrarsi accondiscendente.
«D’accordo» disse infine.
«E ora scendete da lì» farfugliò monsignor Rigoldi, che se la stava facendo sotto.Approfittando delle incertezze di quell’impiastro, Francesca scese la scala rapidamente. Passandogli davanti quasi lo sbilanciò e il vecchio precettore si addossò al muro, arrivando a schiacciarsi contro la pietra come un ladro colto in flagrante. Giunta in fondo alla scala, Francesca sbucò in cortile. Aveva tutte le intenzioni di far perdere le sue tracce, così si diresse verso le stalle. Voleva far visita al suo cavallo preferito perché lì dentro monsignor Rigoldi non si sarebbe avventurato di certo. Aveva troppa paura di Tristano, il suo destriero.
[da Paolo e Francesca. Romanzo di un amore di Matteo Strukul, Nord-Sud, 2022]