Paasilinna, lo scrittore che fa ridere e pensare

Luigi Oliveto

12/03/2020

Arto Paasilinna, scrittore finlandese venuto a mancare nel 2018, è nel suo paese, ma non solo, scrittore di culto. Ex guardaboschi, ex giornalista, ex poeta, piace di lui la capacità nel saper utilizzare la chiave umoristica per raccontare cose molto serie. Uno humour tenero, talvolta malinconico, graffiante quando diventa giudizio sulle storture della società. È un mood narrativo che ritroviamo in tutti i suoi libri (editi in Italia da Iperborea) ed è così anche nell’ultimo pubblicato dalla casa editrice milanese, “Aadam ed Eeva” (2019, traduzione di Marcello Ganassini). Il protagonista, Aadam Rymättylä, è un imprenditore che la crisi economica ha ridotto sul lastrico, ormai costretto a dormire su un divano letto nel capannone della ditta alla periferia di Helsinki. Dorme poco, in verità, considerati i debiti, la fila stizzita dei creditori, sette figli da mantenere partoriti da tre madri diverse. Ma a togliergli il sonno è più che altro il continuo armeggiare attorno a un’invenzione: una batteria ultraleggera che rivoluzioni il sistema energetico mondiale. Una genialata cui si dedica senza sosta, almanaccando e facendo esperimenti. L’esplosivo progetto (esplosivo in senso proprio) subisce una battuta d’arresto quando prende fuoco il capannone e Aadam finisce in galera. Provvidenziale, però, fu la disgrazia, poiché in quelle circostanze conosce la grintosa (e bizzarra) avvocatessa Eeva Kontupohja, quanto mai convinta dell’innocenza e del talento del suo assistito. Da qui la svolta, perché il prototipo della batteria funziona veramente, e i due – che non a caso si chiamano Adamo ed Eva – oltre che arricchirsi a dismisura, vanno ponendo le basi per un nuovo mondo, una nuova ecologia. Troppo bello sarebbe. I progenitori di questo mondo non piacciono affatto a chi del vecchio detiene i poteri politici, economici, finanziari. Vai a spiegarlo ai lobbisti del petrolio che un’energia alternativa salvaguarderebbe la Terra. Così che Aadam ed Eeva (divenuti nel frattempo coppia di fatto, avida e mattacchiona) si ritrovano molti nemici e sicari pronti a farli fuori. La morale del romanzo è chiara: difficile conciliare le buone intenzioni con la ricchezza, l’utopia con l’egoismo. Anche se, come nel caso della salvezza del nostro pianeta, è questione di vita o di morte.
 
***
 
L’incidente scosse tutta Tattarisuo. L’esplosione di idrogeno scagliò come un proiettile Aadam Rymättylä, in tuta fumante, fuori dal deposito di batterie della sua officina.
Il capannone di lamiera tremava da cima a fondo, dentro si sentiva un terribile fracasso di vetri rotti e dalla doppia porta spalancata uscivano nubi di vapore e fumo. Aadam sputò la fuliggine che aveva in gola. La sua faccia rossa era chiazzata di nero, le orecchie ronzavano rintronate e il cuore non sapeva più se fermarsi o battere all’impazzata. Superato il primo choc, si sedette sui gradini del deposito, estrasse dalla tasca un pacchetto verde di nazionali senza filtro, ne accese una e diede un lungo tiro. Chiuse gli occhi e dichiarò:
«Che primavera di merda!»
In effetti era aprile, era cominciato il disgelo, le pozzanghere oleose dei tristi viali della zona industriale di Tattarisuo scintillavano di tutti i colori dell’arcobaleno. I primi boccioli spuntavano sui cespugli polverosi lungo il bordo dei fossi. Gli uccelli migratori non avevano ancora fatto la loro apparizione, ma si sentiva il gracchiare delle cornacchie nei boschi dietro i depositi di rottami. Anche quella era una musica primaverile, dopo tutto, in sintonia con lo scenario.
Aadam Rymättylä era un piccolo imprenditore sulla quarantina, d’aspetto e carattere ruvido, un tipico finlandese. Grande, massiccio, già visibilmente segnato da non poche prove della vita.
L’inverno e la primavera erano stati tempi duri, per lui. Il fatturato della sua rivendita di batterie non aveva fatto che calare, la crisi aveva limato i ricavi, già di per sé modesti. Le uniche cose che ancora crescevano regolarmente erano i debiti e gli interessi. La vendita di automobili era crollata e la domanda di batterie si era presto adeguata alla vertiginosa caduta. Aadam Rymättylä aveva cercato di diversificare l’offerta, mettendosi a riparare e installare marmitte, ma anche in quel campo i clienti tendevano a scarseggiare. Inoltre il diploma di elettrotecnico conseguito negli anni Settanta gli aveva consentito di occuparsi anche di impianti elettrici. La sua azienda, l’impresa individuale Akku Aadam, fino ad allora si era bene o male retta in piedi, ma ormai era arrivata sull’orlo dell’abisso e, in mancanza di un minimo segno di ripresa del settore, quell’estate sarebbe finita in bancarotta. L’attività era andata avanti per una decina d’anni col sudore della sua fronte, ma a questo punto neanche tutta la migliore volontà del mondo sarebbe bastata. Al giorno d’oggi i clienti erano in grado di saldarsi da sé i tubi di scappamento arrugginiti, sistemare le batterie, sostituire i relè e giuntare i cavi elettrici delle loro automobili.
Dopo aver dato ancora qualche lungo tiro, Aadam Rymättylä gettò via la sigaretta, si alzò e si diresse scoraggiato al deposito. Una leggera brezza primaverile disperdeva man mano il fumo e i vapori che continuavano a uscire dalle finestre rotte. Il capannone era largo sette metri e alto più di quattro, abbastanza grande da poter ospitare, oltre alle macchine, anche camion non troppo grossi.
[…]
Accanto al magazzino, pieno di batterie fino al soffitto, c’era un locale più arioso: il laboratorio. Era da lì che Aadam Rymättylä era uscito a razzo, non proprio sulle sue gambe, ma al volo, proiettato in aria dall’esplosione.
La presenza di un laboratorio in un semplice capannone multifunzionale non era, a dire il vero, indispensabile. La sostituzione delle batterie, in teoria quanto in pratica, era un lavoro piuttosto semplice, come del resto il cambio delle marmitte e roba affine. Aadam Rymättylä ne aveva comunque adibito uno, equipaggiandolo di tutti i macchinari e gli strumenti necessari. Da tempo stava cercando di sviluppare un nuovo tipo di batteria, più leggero. In periodi di recessione, con i clienti che si tenevano alla larga per non disturbare, le giornate rischiavano di sembrare lunghe.
Aadam prendeva molto sul serio la sua attività di ricerca, anche se con gli estranei sosteneva che si trattasse solo di un passatempo che aveva per puro divertimento. Amava pensare che, se fosse davvero riuscito a inventare una batteria ultraleggera, avrebbe segnato una svolta epocale nell’evoluzione dell’intera umanità. Sarebbe stata una scoperta storica, un po’ come Edison con il suo accumulatore al nichel-ferro. Si sentiva un fratello spirituale di Thomas Alva Edison, il più grande scienziato e inventore di tutti i tempi. Perfino le loro carriere erano iniziate in modo simile. Come Edison che, all’età di quindici anni, girava per gli Stati Uniti facendo il telegrafista, lui aveva esercitato il mestiere di elettricista nelle rudi e inospitali terre del Nord. Era stato per anni tecnico di manutenzione in una fabbrica di batterie, come Edison ingegnere alla Western Union.
In fondo, l’invenzione di un dispositivo leggero ed efficiente per lo stoccaggio dell’elettricità non sarebbe stata meno fantastica di quella dell’elettricità stessa.
Aadam Rymättylä non era un dilettante. Durante il servizio militare aveva inventato una mina antiuomo rivoluzionaria, che aveva la diabolica caratteristica di non poter essere disinnescata senza esplodere. Il genio militare l’aveva adottata per gli addestramenti. Aadam aveva cercato di ottenere delle royalties per la sua avveniristica invenzione, ma il comandante del genio militare, un maggiore generale tutto d’un pezzo, aveva dichiarato, inflessibile, che in nessuna parte del mondo si è mai pagato qualcosa per i segreti militari, che sono proprietà delle forze armate dalla notte dei tempi.
Nel corso della sua formazione di sottufficiale di riserva, l’allievo Rymättylä aveva anche inventato una mitragliatrice a due canne con una cadenza di tiro teorica stimata attorno alle duemilasettecento pallottole al minuto. L’idea era di collegare l’otturatore a un albero a gomiti, come i pistoni nel motore a scoppio. Il movimento rotatorio, aveva spiegato Rymättylä al comandante di brigata, avrebbe aumentato la velocità di fuoco e ridotto a zero il rischio che l’arma s’inceppasse. L’intuizione gli era valsa il trasferimento per alcune settimane all’armeria della sua divisione per disegnare il progetto di quella nuova arma, fino alla scoperta che non era poi così nuova. I giapponesi avevano montato un meccanismo simile sui cannoni delle navi da guerra già nel 1905. La cadenza di tiro era certo eccezionale: stando alla letteratura sull’argomento, pare che cessare il fuoco fosse praticamente impossibile, l’unica era aspettare che finissero le munizioni. L’otturatore con albero a gomiti era estremamente efficace, ma aveva il difetto di ridurre drasticamente la precisione dell’arma: in azione il cannone vibrava e oscillava come un motore spinto a tutto gas.
I giapponesi avevano dunque già sperimentato l’invenzione di Aadam Rymättylä con modesti risultati all’inizio del Novecento nella battaglia navale di Tsushima, combattuta negli ultimi giorni di maggio. I cannoni automatici erano fissati con giganteschi bulloni al ponte di una corazzata a vapore. Sul mare primaverile l’artiglieria giapponese aveva colpito la flotta russa nello stretto di Corea e, a quanto si diceva, il nemico era rimasto oltremodo terrorizzato dal frastuono infernale di quei cannoni automatici. Il problema era che i proiettili avevano colpito più che altro il cielo e il mare e poco c’era mancato che i cannoni, fuori controllo, non squarciassero la corazzatura della nave. La produzione dell’arma micidiale era stata sospesa. A quanto si diceva, il progettista aveva fatto harakiri nonostante fosse in parte grazie a lui e alla sua invenzione che la Russia, che aspirava a diventare una superpotenza, era stata vinta e sbaragliata.
Quando nella divisione vennero a sapere di quel precedente nella storia giapponese, l’allievo Rymättylä fu rispedito senza tanti complimenti all’addestramento.
Dieci anni prima Aadam aveva anche partecipato al più grande concorso per inventori dei paesi nordici organizzato da un gruppo industriale danese-svedese.
Il primo premio erano duecentomila corone, nette. Al concorso avevano partecipato oltre dodicimila candidati, tra i quali l’elettricista Aadam Rymättylä, che si era aggiudicato il primo premio. Laura, all’epoca sua moglie, aveva avanzato dubbi sulla genialità del marito, vedendolo portare all’ufficio postale un chilo di buste da spedire. Trovava tutta l’attività piuttosto ridicola, ma il progetto di Aadam, un sistema meccanizzato di coltivazione in serra, era eccezionale, al punto che non era stato possibile trovare uno sbocco industriale in un mercato ristretto come quello scandinavo. Con i soldi del premio Aadam aveva regalato a Laura una pelliccia.
Finora, comunque, il suo estro inventivo non l’aveva portato al di là del piccolo bricolage, ma questa volta Aadam Rymättylä aveva sul serio l’impressione di avere tra le mani un’invenzione davvero epocale. All’inizio aveva pensato solo di ridurre il peso delle batterie, per il semplice motivo che sollevarle dalla mattina alla sera gli causava problemi alla schiena. Presto però aveva capito che le attuali batterie allo zinco avevano già raggiunto il massimo del loro sviluppo: materiali adeguati, un attento processo di produzione e la batteria, per quanto di peso eccessivo, così com’era non si poteva migliorare. Per ottenere un dispositivo più leggero in grado di conservare l’elettricità bisognava affrontare la questione da un altro punto di vista.
Per tutto quel grigio inverno di crisi, Aadam Rymättylä aveva condotto un numero infinito di esperimenti nel suo laboratorio con i materiali più disparati: soluzioni elettrolitiche, metalli e plastiche. Aveva caricato di elettricità ogni sorta di accumulatori, usato come conduttore ogni tipo di cavo esistente e fatto passare la corrente in tutti i gas possibili. L’elio e l’idrogeno avevano la tendenza a bruciare e a esplodere, come aveva appena constatato: l’idrogeno aveva mandato i vetri in frantumi e riempito lui di fuliggine. Cominciava solo adesso a recuperare l’udito.
Tese l’orecchio. Cavoli! Di nuovo le sirene urlanti dei pompieri che si avvicinavano a spron battuto a Tattarisuo. Due camion rossi si fermarono di colpo davanti alla Akku Aadam. Rymättylä si precipitò fuori di corsa per dichiarare che non c’era nessuna emergenza e si ritrovò inondato da un possente getto d’acqua sparato dritto in faccia.
 
[da Aadam ed Eeva di Arto Paasilinna, trad. Marcello Ganassini, Iperborea, 2019]
 
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Luigi Oliveto

Luigi Oliveto

Giornalista, scrittore, saggista. Inizia giovanissimo l’attività pubblicistica su giornali e riviste scrivendo di letteratura, musica, tradizioni popolari. Filoni di interesse su cui, nel corso degli anni, pubblica numerosi libri tra cui: La grazia del dubbio (1990), La festa difficile (2001), Siena d’autore. Guida letteraria della città e delle sue terre (2004), Giosuè Carducci. Una vita da poeta (2011), Giovanni Pascoli. Il poeta delle cose (2012), Il giornale della domenica. Scritti brevi su libri, vita, passioni e altre inezie (2013), Il racconto del vivere. Luoghi, cose e persone nella Toscana di Carlo Cassola (2017). Cura la ristampa del libro di Luigi Sbaragli Claudio Tolomei. Umanista senese del Cinquecento (2016) ed è co-curatore dei volumi dedicati a Mario Luzi: Mi guarda Siena (2002) Toscana Mater (2004),...

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